Assisi, Papa Francesco: “Il mondo ha sete di pace, i credenti siano artigiani di pace”
Accensione dei candelabri e firma dell’Appello per la Pace. Papa Francesco e gli altri leader religiosi firmano l’Appello. Oltre che per i Paesi in guerra, tra cui la Siria, accesa una fiaccola anche «per i recenti attentati in Francia» e una per tutti i rifugiati. Per i vescovi umbri il cardinale Bassetti, poi il vescovo di Assisi Domenico Sorrentino, per le famiglie francescane padre Mauro Gambetti. L’ultima per la Comunità di Sant’Egidio.
Papa Francesco: “I cristiani alberi di vita che assorbono l’indifferenza”. “Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete»”, ha affermato Papa Francesco alla preghiera ecumenica dei cristiani, che precede la cerimonia conclusiva dell’incontro “Sete di Pace”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Diocesi di Assisi e dalle Famiglie Francescane. Nella “sete” di Gesù – ha continuato il Papa – “possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa”.
“Anche noi, discepoli del Crocifisso – ha concluso Papa Francesco -, siamo chiamati a essere «alberi di vita», che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore”, perché nella compassione verso “quanti oggi vivono da crocifissi” crescerà “ancora di più l’armonia e la comunione” tra i cristiani.
IL DISCORSO DEL PAPA IN PIAZZA
Santità, illustri Rappresentanti delle Chiese, delle Comunità cristiane e delle Religioni, cari fratelli e sorelle!Vi saluto con grande lispetto e affetto e vi ringrazio per la vostra presenza. Siamo venuti ad Assisi come pellegrini in cerca di pace. Portiamo in noi e mettiamo davanti a Dio le attese e le angosce di tanti popoli e persone. Abbiamo sete di pace, abbiamo il desiderio di testimoniare la pace, abbiamo soprattutto bisogno di pregare per la pace, perché la pace è dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla e costruirla ogni giorno con il suo aiuto. «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Molti di voi hanno percorso un lungo cammino per raggiungere questo luogo benedetto. Uscire, mettersi in cammino, trovarsi insieme, adoperarsi per la pace : non sono solo movimenti fisici, ma soprattutto dell’animo, sono risposte spirituali concrete per superare le chiusure aprendosi a Dio e ai fratelli. Dio ce lo chiede, esmtandoci ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l ‘indifferen za. E’ un virus che paralizza, rende ine1ti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo del/ ‘indifferenza.
Non possiamo restare indifferenti. Oggi il mondo ha un’ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e povetià. A Lesbo, con il caro Fratello e Patriarca ecumenico Bruiolomeo, abbiamo visto negli occhi dei rifugiati il dolore della guena, l’angoscia di popoli assetati di pace. Penso a famiglie, la cui vita è stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre: tutti loro hanno una grande sete di pace. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell ‘oblio. Noi desideriamo dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto. Essi sanno bene, spesso meglio dei • potenti, che non c’è nessun domani nella guena e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita. Noi non abbiamo rumi. Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera. In questa giornata, la sete di pace si è fatta invocazione a Dio, perché cessino guene, tenorismo e violenze. La pace che da Assisi invochiamo non è una semplice protesta contro la guena, nemmeno «è il risultato di negoziati , di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera » (GIOVANN I PAOLO II, Discorso, Basilica di Santa Maria degli Angeli, 27 ottobre 1986: Insegnamenti IX,2 [1986], 1252). Cerchiamo in Dio, sorgente della comunione, l’acqua limpida della pace, di cui l’umanità è assetata: essa non può scaturire dai deserti deli’orgoglio e degli interessi di parte, dalle tene aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi. Diverse sono le nostre tradizioni religio se. Ma la differenza non è per noi motiv o di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è pwiroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiruno invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri. San Giovanni Paolo II in questo stesso luogo disse: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace» (ID., Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1268). Continuando il cammino iniziato trent’am1i fa ad Assisi, dove è viva la memoria di quell ‘uomo di Dio e di pace che fu San Francesco, «ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affe1miamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda» (ID., Discorso ai Rappresentanti delle Religioni, Assisi, 24 gennaio 2002: Insegnamenti XXV ,l [2002], l 04), che ogni forma di violenza non rappresenta «la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione» (BENEDETTO XVI, Intervento alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011: Insegnamenti VII,2 [201 1], 512). Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa e non la guerra!
Oggi abbiamo implorato il santo dono della pace. Abbiamo pregato perché le coscienze si mobilitino a difendere la sacralità della vita umana , a promuovere la pace tra i popoli e a custodire il creato, nostra casa comune. La preghiera e la collaborazione concreta aiutano a non rimaner e imprigionati nelle logiche del conflitto e a rifiutare gli atteggiamenti ribelli di chi sa soltanto protestare e arrabbiarsi. La preghier a e la volontà di collaborare impegnano a una pace vera, non illusoria: non la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dali ‘altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno. La nostra strada è quella di immergerci nelle situazioni e dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di perconere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male; di intraprendere pazientemente, con l’aiuto di Dio e con la buona volontà, processi di pace.
Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso. Pace vuo i dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera, nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato. Pace significa Accoglienza, disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto. Pace vuoi dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l’altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore. Pace significa Educazione: una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, . contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo.
Noi qui, insieme e in pace, crediamo e speriamo in un mondo fraterno. Desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti . Il nostro futuro è vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio. I credenti siano artigiani di pace nell ‘invocazione a Dio e nell ‘azione per l’uomo! E noi, come Capi religiosi, siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace. Ci rivolgiamo anche a chi ha la responsabilità più alta nel servizio dei Popoli, ai Leader .delle Nazioni, perché non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di là degli interessi di parte e del momento: non rimangano inascoltati l’appello di Dio alle coscienze, il grido di pace dei poveri , e le buone attese delle giovani generazioni. Qui, trent’anni fa San Giovmmi Paolo II disse: «La pace è un cantiere aperto a tutti , non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale» (Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986 : l.c. , 1269). Assumiamo questa responsabilità, riaffe1miamo oggi il nostro sì ad essere, insieme, costruttor i della pace che Dio vuole e di cui l’umanità è assetata.
Bartolomeo I: “Offrire acqua di pace a mondo senza pace”.Il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo nella sua meditazione durante la preghiera ecumenica dei cristiani per la pace, nella Basilica Inferiore di San Francesco, ad Assisi ha detto: “”Per poter gridare anche noi ‘Vieni Signore Gesù’ con i nostri fratelli assetati di pace, dobbiamo come Chiese attraversare una metanoia, una conversione intrinseca, un cambio radicale di mentalità, un profondo ravvedimento, ed essere capaci come cristiani di attuare ciò che in sintesi ci richiama il Libro dell’Apocalisse: Ascolto – Conversione – Testimonianza profetica”.
Bartolomeo I ha definito l’ascolto “capacità di sentire il grido di Dio verso l’umanità, e udire il grido del nostro prossimo”. “Ma per ascoltare – ha sottolineato – dobbiamo imparare ad assaporare il silenzio. Un silenzio dell’ascolto che deve permearci, che deve metterci in relazione con Dio e con i fratelli, che ci libera da ogni catena, da ogni inganno, da ogni inquietudine”. “Ascoltare non significa essere uditori distanti e distaccati, ma partecipi, intimi con Dio e col prossimo”, ha aggiunto. “Significa conversione, e non ci può essere conversione senza ascolto”. Questa “conversione”, per Bartolomeo, è la “capacità” di portare il cuore e la mente a cambiare rotta, a convergere solamente su ”Colui che è”. E’ pertanto “passaggio obbligato per purificare la memoria, per vincere il male che affligge l’umanità, questa malattia spirituale, subdola, che vuole allontanare il tutto dal tutto, anziché offrire il rendimento di grazie eucaristico”. La “testimonianza profetica” dei cristiani, infine, deve permettere di “offrire acqua viva a chi ha sete, acqua che non ha fine, acqua di pace in un mondo senza pace, acqua che è profezia e tutti ascolteranno Gesù che dirà tre volte: ”Sì, verrò presto!”.
Riccardi (fondatore comunità di Sant’Egidio): le religioni “fonti di speranza per chi ha sete di pace” . Assisi – Un “momento bello” che mostra “la pace nel cuore di tante religioni e persone”. Così Andrea Riccardi, intervenendo alla cerimonia conclusiva dell’incontro “Sete di Pace” in corso ad Assisi alla presenza di Papa Francesco e di oltre 500 leader delle grandi religioni mondiali. Per il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che ha raccolto l’intuizione di Giovanni Paolo II in 30 anni di incontri nello spirito di Assisi, le religioni sono “fonti di speranza per chi ha sete di pace”, perché “ogni comunità religiosa, che prega, può liberare energie di pace”. “Tutti possono essere artigiani di pace con la forza debole della preghiera e del dialogo”, ha affermato Riccardi, osservando che “le religioni sono chiamate a maggiore audacia” per “eliminare per sempre la guerra che è madre di tutte le povertà”.
Tamara Mikalli (testimone di Aleppo rifugiata in Italia) e David Brodman (rabbino capo di Sayyon e testimone della Shoah), testimoniano la “sete di pace” dei popoli. Tamara Mikalli, armena di Aleppo, insegnava inglese prima che la guerra gli portasse via tutto. È giunta in Italia attraverso i “corridoi umanitari” nel maggio del 2016 e già parla con sicurezza la lingua italiana. “Aleppo, quando pronuncio questo nome, mi si stringe il cuore – ha detto Tamara – perché mi ricordo dove sono nata, cresciuta e dove mi sono sposata. Mi tornano alla mente i tanti amici musulmani e cristiani. Ora si fanno differenze tra cristiani e musulmani, ma prima della guerra non c’erano differenze”. Sotto i “pesanti bombardamenti”, ha ricordato la giovane testimone, “condividevamo il pane e l’acqua, i beni più preziosi che mancano durante la guerra, ci incoraggiavamo a vicenda e pregavamo. La preghiera era l’unico sostegno per noi”. Dopo tre anni di sofferenze durante l’assedio di Aleppo, è fuggita con la famiglia in Libano, dove ha conosciuto “gli angeli che ci hanno parlato dei corridoi umanitari e della possibilità di vivere in pace”, ha concluso, ricordando i volontari di Sant’Egidio e delle Chiese protestanti italiane, che in Libano realizzano il progetto dei “corridoi umanitari”.
Assisi, Padre Mauro Gambetti: “Qui per pace, non in cerca gloria”. “Il mondo conoscerà una fase di sviluppo se chi è qui non è in cerca di gloria, non si ritiene migliore degli altri e non considera la propria religione, il proprio gruppo di appartenenza o la propria cultura superiore alle altre”. Lo ha detto il Custode del Sacro Convento, padre Mauro Gambetti aggiungendo: “Chi è venuto qui, più o meno consapevolmente, è un uomo pronto a morire per la pace”. “Il valore profetico dell’incontro che oggi si conclude dipende da ciò che farà ciascuno di noi domani”, ha concluso Gambetti.
All’aperto la cerimonia finale e il messaggio d’appello per la pace. Il messaggio di monsignor Sorrentino. Il Papa e i leader religiosi, terminate le distinte preghiere, si sono trasferiti nella piazza antistante la Basilica inferiore di San Francesco d’Assisi.
“In questi giorni, professando e testimoniando le nostre convinzioni religiose, nell’ascolto rispettoso di quelle altrui, abbiamo fatto una vera esperienza di amicizia”. Lo ha detto monsignor Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi, per il quale ora “occorre procedere oltre. La nostra amicizia vuol essere un contributo a una politica della fraternità su scala globale. E’ possibile che l’umanità si senta una sola famiglia? Noi credenti pensiamo di sì”, e per questo operiamo, nella ricerca di ciò che ci unisce, andando oltre ciò che ci divide”.
Ricordati uno ad uno i nomi dei paesi in guerra. “Afghanistan”, “Birmania”, “Burundi”. E poi “Iraq”, “Siria”, “Ucraina”, “Yemen”. Una candela si accende per ogni paese. La litania di 27 nomi è stata accompagnata dal canto e dalla preghiera dei rappresentanti di tutte le confessioni cristiane, riunite attorno a Papa Francesco oggi pomeriggio nella Basilica inferiore del Sacro Convento. Vengono ricordati così, uno alla volta, i paesi segnati dalla guerra, “contaminati dal virus dell’odio e del conflitto”. Per ognuno di questi paesi alcuni giovani hanno acceso una candela, come una luce di speranza.È un gesto che è stato osservato con profonda attenzione da Papa Francesco, il patriarca ecumenico Bartolomeo e il primate anglicano Welby, che hanno presieduto la preghiera ecumenica dei cristiani. Tra pochi minuti il Papa e gli altri capi di Chiese e confessioni cristiane si uniranno agli altri leader delle grandi religioni mondiali, che hanno pregato secondo la loro tradizione in altri luoghi ad Assisi.
Cominciato alle 16 il momento di preghiera per la pace all’interno della basilica inferiore di San Francesco d’Assisi. Ogni gruppo religioso prega in un luogo dedicato. I cristiani, riuniti in una preghiera ecumenica con il Papa, tutti nella Basilica inferiore di San Francesco d’Assisi. I musulmani, gli ebrei, e i fedeli della religione Oomoto in altri luoghi del Sacro Convento, adiacente alla stessa Basilica. Le religioni indiane si sono ritrovati di fronte alla Basilica Superiore; gli scintoisti buddisti a Palazzo Monte Frumentario. I fedeli della confessione Tenrikyo e i taoisti, infine, in due differenti giardini del Monastero di Sant’Andrea.
IL DISCORSO DEL PAPA DURANTE LA PREGHIERA ECUMENICA DEI CRISTIANI
Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete» (Gv 19,28). La sete, ancor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo cosi il mistero del Dio Altissimo, divenuto, per misericordia, misero fra gli uomini. Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimento di Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento» (Ger 2,2). Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quando — sembra dire anche oggi il Signore — «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13). E il dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che è vino andato a male. Come, profeticamente, lamentava il salmista: «Quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sai 69,22).“L’Amore non è amato”: secondo alcuni racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta. Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà “benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto.
Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione. Di fronte a Cristo crocifisso, «potenza e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24), noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell’Amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere “alberi di vita” che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua, simbolo dello Spirito che dà la vita (cfr Gv19,34) così da noi suoi fedeli, esca compassione per tutti gli assetati di oggi. Come Maria presso la croce, ci conceda il Signore di essere uniti a lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal crocifisso risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. “Egli infatti è la nostra pace” (Ef2,14) Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani (Ef2,17). Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, perché diventiamo quello che lui desidera: “una sola cosa”. (Gv, 17,21).
Un Papa “molto sorridente” al pranzo di pace che si è tenuto nel Refettorio del Sacro Convento di Assisi. Presenti i circa 500 rappresentanti delle fedi che hanno preso parte all’evento. “La preghiera per la pace è stata preparata da un bel momento di convivialità”, riferisce il fondatore della Comunità di Sant”Egidio, Andrea Riccardi. Al tavolo del Papa, sedevano accanto a lui da una parte il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e dall’altra il prete albanese Ernst Simoni Troshani che ha vissuto la dittatura in Albania e che il Papa aveva già incontrato nel suo viaggio a Tirana come testimone di quel periodo, passato dal sacerdote per quasi vent’anni in carcere.
Al pranzo comune hanno partecipano alcuni dei 510 leader religiosi giunti ad Assisi per i 30 anni della Giornata Mondiale di preghiera per la pace convocata il 27 ottobre 1986. Nel corso dell’incontro conviviale Marco Impagliazzo, presidente della Comunita’ di Sant’Egidio, ha ricordato il XXV anniversario di Patriarcato di Sua Santità Bartolomeo I. A concludere la festa una torta con 25 candeline. Per l’occasione è stata stappata anche una bottiglia di champagne.
Dopo il pranzo comune nel Sacro Convento, Papa Francesco ha incontrato singolarmente alcuni dei leader religiosi più rappresentativi presenti al meeting di Assisi: Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, Ignatius Efrem II, patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia, Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa di Inghilterra, Din Syamsuddin, presidente del Consiglio degli Ulema dell’Indonesia e il Gran Rabbino David Rosen giunto da Israele. Francesco ha poi avuto un breve colloqio privato con il grande filosofo polacco Zygmut Bauman.
Alle 12 papa Francesco è entrato al Sacro Convento, dove pranzerà con i capi religiosi e le personalità, partecipanti all’incontro “Sete di pace”. Tra di loro anche 12 rifugiati provenienti da paesi in guerra, attualmente accolti dalla Comunità di Sant’Egidio.
Tra di loro Rasha, con la figlia Janin di sette anni, arrivate in Italia nello scorso febbraio con i corridoi umanitari di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese. Di origine palestinese, vivevano in un campo profughi alla periferia di Damasco fino alla fuga in Libano. Sono arrivati coi corridoi umanitari anche cinque cristiani siriani: sono cattolici assiri Fadi e Ruba, che col figlio undicenne Murkus, sono fuggiti da Hasake; di confessione armena sono Osep, Kevork e Tamar, che più tardi interverrà sul palco della cerimonia conclusiva, testimoniando sulla sofferenza della sua città, Aleppo.
ore 11.30 Papa Francesco è arrivato ad Assisi. L’elicottero proveniente dal Vaticano è atterrato puntuale alle 11.30 al campo Migaghelli di Santa Maria degli Angeli. Ad accoglierlo monsignor Domenico Sorrentino, arcivescovo di Assisi, Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria, Raffaele Cannizzaro, prefetto di Perugia e Stefania Proietti, sindaco di Assisi e diverse autorità religiose, civili e militari. Dal campo sportivo di Santa Maria degli Angeli in auto Bergoglio si è recato al Sacro Convento nella Basilica di San Francesco di Assisi. Il Papa è accompagnato da monsignor Angelo Becciu, Sostituto dalla Segreteria di Stato e da monsigno George Gaenswein, Prefetto della Casa Pontificia.
Papa Francesco, arrivato al Sacro Convento di Assisi, ha salutato i 25 rifugiati che oggi saranno presenti al “pranzo di pace” con lo stesso Bergoglio e gli altri leader religiosi. Dieci di loro sono arrivati in Italia con i ”corridoi umanitari” di Sant’Egidio, dieci arrivano dal Cara di Castelnuovo di Porto, cinque sono invece assistiti dalla Caritas di Assisi. Il Pontefice durante il suo saluto ai profughi, è accompagnato dagli altri leader religiosi e dal presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo. “Oggi il mondo avrà il suo centro ad Assisi, per una giornata di preghiera, penitenza e pianto, perché il mondo è in guerra”, ha detto il Papa. “Dio padre di tutti, cristiani e non, vuole la pace. Non esiste un dio della guerra, quello che la fa è il diavolo. Preghiamo il Signore affinché ci dia un cuore di pace, oltre le divisioni delle religioni, perché tutti siamo figli di Dio”, ha aggiunto Papa Francesco.
Ad accoglierlo al Sacro Convento anche alcuni rappresentanti del governo italiano. Stretta di mano e scambio di qualche parola tra il Papa e il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti e il vice ministro agli Esteri Mario Giro.