LEVANTE. Considerazioni del mattino I MOLINI DI TERNI
di Maurizio Terzetti
Non conosco a sufficienza la storia di Terni per poter offrire ai lettori i riscontri giusti sulla notizia, per me emozionante, del rinvenimento archeologico causato dalla voragine che si è aperta in Piazza Buozzi. A essere tornati visibili sono alcuni tratti della rete di canalizzazione medievale in città delle acque dei fiumi – Nera e Velino – dai quali Terni trae gli inizi della sua civiltà e della sua esistenza di importantissimo anello tra l’Umbria e la Sabina.
I due corsi d’acqua – che danno origine, grazie all’intervento umano, a quel fenomeno naturale fra i più grandiosi a livello mondiale che è la Cascata delle Marmore – nel centro di Terni si sono piegati, nei secoli, a uno scorrere molto più pacifico e graduato, che ha alimentato a lungo l’economia ternana e, infine, si sono rassegnati a regimarsi altrove, chiusi per sempre i loro canali cento anni fa dopo secoli di inutilizzo.
Sbirciando dall’enorme buco di Piazza Buozzi, è come se la Piazza Valnerina, l’antico, sottostante centro urbano medievale che teneva unita la “zona “ ternana dei mulini, lanciasse segnali di qualche natura alla città di oggi che, per il momento, non sappiamo come interpretare.
Il casuale capitolo archeologico che s’è aperto dentro la città a causa di un dissesto in sé non molto qualificante sarà chiuso con una parentesi di calda indifferenza benedetta dal parere dei dotti e sigillata dai fogli ufficiali delle istituzioni?
È probabile che finisca così: a cosa può servire la vista, sotto qualunque forma resa possibile, di una canalizzazione di acque freschissime che portavano energia sufficiente a far girare molini per il grano e per l’olio dal Medioevo al 1600?
Del resto, un’estensione degli scavi intorno e lungo l’area della voragine, quand’anche l’ambiente urbano attuale la rendesse possibile, a cosa porterebbe se non alla presa d’atto di una testimonianza materiale priva dei caratteri di eccezionalità che rendono sfruttabile turisticamente la scoperta?
Da non ternano, posso dire che il destino di quelle murature, già sepolte e in procinto di esserlo nuovamente, mi lascia un po’ triste per una riflessione complessiva sul rapporto fra storia e natura che la civiltà non permette mai che s’indaghi fino in fondo: perché finisce l’uso irriguo della acque, comiciano i molini e poi l’industrializzazione andandosi a schiacciare l’uno sull’altro come un terremoto che avviene sulla terra e non sotto di essa?
Se fossi ternano, certo che proverei un gran dolore, ma proprio grande, al pensiero che, a dispetto della cancellazione materiale dei molini, il loro nome continua a identificare la memoria anche dei più giovani rispetto a quel pezzo di città. Sarei incerto se andare o no a vedere le spoglie mortali di tutta quella vita che i molini si portavano addosso e intorno, il vociare e il lavorare, l’amare quel borgo attivo e il pensarlo sempre in relazione con quelle acque che scendono da sorgenti che, magari, nessuno avrà mai visto in vita sua…
Sì, penso che un’idea di quelle muratura andrei a farmela e mi consolerei pensando che l’acqua della Valnerina, per Terni, è stato un bene così prezioso che anche una semplice pietra della muratura medievale me ne fa ancora sentire lo scorrere – benefico e tonificante con tutto l’ambiente che gli si è costruito intorno – nelle orecchie e nel cuore.