PERUGIA, I PRIORI E IL DUOMO
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Oggi la città di Perugia festeggia la parola del suo nuovo vescovo ausiliare, monsignor Paolo Giulietti, e vive all’unisono con tutta la comunità perugina questo nuovo magistero perché la figura del giovane nuovo presule è quanto mai suscitatrice di entusiasmo, perché ricorre la festività di San Lorenzo e perché il rito religioso è un’altra cosa rispetto al ricordo del potere esercitato dai Papi in Umbria fino all’Unità d’Italia. Il rito religioso non cessa di attrarre anche i poco o nulla credenti, non fosse altro che per la forza travolgente delle campane, che tracciano onde sonore di unione sul cielo della città. Il giorno dopo, l’11 agosto, e il successivo 12, è la volta di Assisi celebrare liturgie solenni in onore rispettivamente di Santa Chiara e di San Rufino: la suora alla quale San Francesco tagliò i capelli per averla fra i suoi e che respinse i Saraceni a San Damiano; il patrono del quale tutti, nascendo ad Assisi, non credono che sia lui, anziché il figlio di Pietro di Bernardone, ad essere il protettore della città.
Bizzarrie, agiografie, voglia di serenità dietro alla Chiesa e impegno concreto dentro di essa, magistero da istituzione religiosa che si ramifica fortemente nella comunità locale: queste tre giornate di mezza estate sono come l’altra faccia, che poco abbiamo visto nonostante i proclami, del programma di unificazione fra Perugia e Assisi. Identico è, fra le due città che si guardano dai rispettivi colli, il profumo che emanano le festività patronali, identica la questione che la liturgia religiosa pone al potere civile che partecipa alle manifestazioni ed è chiamato a rappresentare tutta la città. Tale questione mi pare che si possa così riassumere: qual è la caratteristica per la quale il linguaggio di un giovane prete parla fino al cuore della città e, spesso, il linguaggio di un sindaco non riesce a fare altrettanto? È una sola la virtù in grazia della quale la cosa che riesce al giovane vescovo – se, come nella fattispecie, è stato prescelto con oculatezza di rinnovamento – riesce più a fatica al giovane sindaco oppure bisogna chiamare in causa molteplici componenti culturali per spiegare tanta palese differenza?
Parlando da credente e da operoso fedele, la risposta sarebbe scontata e immediata. Anche volendo istituire un confronto fra le due apicalità del potere cittadino, si risponderebbe, c’è una spiritualità in un vescovo che nessuna autorità civile può vantare perché nel primo c’è un magistero e nel secondo vive un magistrato.
Volendo vedere, però, le cose da un’angolatura diversa e senza porre in dubbio l’autorità spirituale del presule – scelto con mano particolarmente ispirata -, credo che la prerogativa di parlare direttamente al cuore dei cittadini possa essere condivisa anche da chi pronuncia il suo discorso dal Palazzo dei Priori anziché dal Duomo, così come ad Assisi dal Palazzo Comunale anziché dal seggio di quel presule gradevolissimo da ascoltare che è Mons. Sorrentino.
A dire il vero, una sua candida spiritualità, da bambino alla Prima comunione, il sindaco Claudio Ricci l’ha sempre espressa e questo è un suo merito, ma ciò che non torna, in lui, nelle sue parole e nel suo comportamento politico, è l’incertezza che lascia sul fatto se è un chierico in clergyman o un diacono e non un “semplice laico” della parrocchia.
Il giovane sindaco di Perugia, invece, non lascia di queste perplessità nei suoi cittadini. Egli assomiglia in tutto a un ragazzo pieno di ideali, che di colpo si trova a dover fare i conti con il lato più pragmatico e partitico delle sue tensioni giovanili. E se del linguaggio di Ricci conosciamo ormai bene ogni sfumatura e la gittata della sua azione politica ci è nota (la qual cosa potrebbe essere per lui un handicap adesso che si è candidato a presidente dell’Umbria), del linguaggio di Romizi non abbiamo ancora alcun repertorio significativo. Egli è solito fare discorsi molto misurati, è votato alla sobrietà, si esprime con pochi, pacati comunicati, si muove del tutto all’insegna di un discorso “in minore”, ha un passo cauto e silenzioso. Probabilmente ciò è da ascrivere alla contraddizione che egli vive fra i proclami elettorali e l’incarico che gli elettori, anche contro ogni più rosea previsione, gli hanno dato.
Il tempo di parlare, però, sembra ormai venuto anche per lui. Mons. Giulietti, da San Lorenzo, sono certo che in breve farà sentire tutto il suo stile, farà brillare la sua azione (motto episcopale: “Opere et veritate”), si darà da fare per cercare il dialogo sul sociale, mostrerà per intero la sua preoccupazione per le povertà di Perugia, chiederà franchezza nell’austerità, vorrà entrare a pieno titolo nella difesa dei più deboli, sarà un compagno di viaggio invidiabile, il vescovo che ogni sindaco avrebbe voluto avere, tanto per la sua spiccata personalità quanto per essere l’ausiliare di uomo, il cardinale Bassetti, non è secondo a nessuno quanto a tempra e a lungimiranza.
Molti aspettano a Perugia il giorno in cui il sindaco Romizi farà sentire la sua voce anziché affidare semplicemente alla sua faccia pulita il segno del rinnovamento. Il rinnovamento lo vedremo, sarà nelle cose o non sarà. Perché, intanto, non cominciare dal linguaggio, non prenderne uno nuovo, non scrivere messaggi mai ascoltati, mostrando in qualche modo di partire proprio da oggi che la festività di San Lorenzo rende particolarmente vicini il Palazzo dei Priori e il Duomo nel cuore dei perugini?