Dove va l’America di Trump
di Pierluigi Castellani
Donald Trump continua con pervicacia a demolire quanto costruito da Obama nei suoi otto anni di presidenza. Recentemente ha fatto approvare dal Congresso la sua riforma fiscale che riduce dal 35 al 20 la tassazione sui profitti delle imprese ed abbassa l’aliquota sull’imposta dei redditi ( la nostra Irpef) più alti. In una parola abbassa le tasse per i ricchi senza aggiungere nulla per i poveri. Si direbbe che opera come un Robin Hood alla rovescia. Dopo aver denunciato l’accordo di Parigi sul clima sottoscritto da Obama ha poi ritirato gli USA dal protocollo ONU per la gestione dei migranti e dei profughi e continua imperterrito in una politica estera incerta e contraddittoria, che sul piano degli scambi commerciali mira a stipulare bilateralmente patti interstatali rifiutando ogni ipotesi di governo internazionale dei fenomeni della globalizzazione. I risultati di questa politica sono sotto gli occhi di tutti. Il pianeta rischia di essere più instabile e costringe gli USA a rinchiudersi in una pericolosa politica isolazionista, che lascia spazio al protagonismo di altri attori della globalizzazione come la Cina, che sta aumentando i propri spazi di influenza non soltanto sul piano commerciale e come la Russia di Putin, che sta approfittando della debolezza della politica di Trump per acquisire protagonismo su spazi nuovi come il medioriente.
E’ recente la visita in Russia del nuovo uomo forte dell’Arabia Saudita, il principe Mohammed bin Salman ,ricevuto a Mosca con tutti gli onori ed è facile constatare il ruolo che Putin sta giocando con tutti gli altri paesi produttori di petrolio per far salire il prezzo del greggio. E poi c’è il contenzioso con la Corea del Nord, che certamente non può lasciare tranquillo l’intero pianeta come ha giustamente ricordato Papa Francesco, che ha voluto anche denunciare il proliferare delle armi nucleari. Insomma la politica di Trump contraddittoria ed isolazionista ( “prima l’America” è il suo motto a cui non a caso si richiamano anche i cosiddetti suprematisti italiani, la Meloni e Salvini) rischia di lasciare un Occidente diviso e quindi più debole ed un pianeta più vulnerabile sia sul piano climatico sia per una pericolosa escalation tra paesi ricchi e paesi poveri. Il rapporto tra il nord ed il sud del mondo è il vero problema di questo secolo, evidenziato con forza dal fenomeno dell’immigrazione, che se non governato dall’ONU e dagli organismi internazionali rischia di rivelarsi una pericolosa fonte di instabilità e di conflittualità. Non che a Trump manchino i problemi in casa propria, perché il cosiddetto russiagate rischia di travolgere più di un membro del suo cerchio magico anche se è molto improbabile, che un Congresso dominato dai repubblicani possa consentire l’impeachment del Presidente. In ogni caso prima o poi anche l’America, che ha votato Trump, potrebbe presentare il conto al Presidente. Se la riforma fiscale fallisse l’obbiettivo di rilanciare l’economia, se la politica isolazionistica finisse per fare arretrare l’America nei suoi commerci con il resto del mondo, se le provocazioni della Corea del nord non producessero a pieno l’invocata solidarietà della Cina e della Russia, se il fallimento della politica americana nel medioriente producesse come conseguenza il consolidamento dell’influenza cinese e russa in quell’area, forse anche l’America del profondo sud e gli operai timorosi di perdere il lavoro per effetto della globalizzazione, che lo hanno incoronato presidente nonostante avesse riscosso meno voti popolari della Clinton, potrebbero finalmente rinsavire. E soprattutto potrebbero costringere gli stessi repubblicani a prender le distanze se l’indagine del procuratore speciale Muller sul russiagate finisse per toccare direttamente la stessa persona di Trump. Comunque l’unica vera considerazione che si può trarre da questo scenario è che, o con l’ America o senza l’America, l’Europa, anche senza l’Inghilterra, deve trovare una sua strategia che salvaguardi i propri interessi ed anche quelli dell’intero pianeta. Anche da queste considerazioni nasce l’esigenza di una Europa più unita e più forte.