San Costanzo, celebrati i Vespri. Giulietti: “Superare le contrapposizioni”
PERUGIA – La solennità di san Costanzo, vescovo e martire, Patrono della città di Perugia e della comunità diocesana perugino-pievese, che la Chiesa celebra il 29 gennaio, rappresenta per il capoluogo umbro il rinnovo nella fede dell’ultrasecolare legame di comunione, unità, concordia e prosperità del suo popolo e tra le sue componenti civile e religiosa. Lo ha ricordato, nell’omelia dei Primi vespri solenni della vigilia della solennità del Patrono, domenica 28 gennaio, il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti in una gremita basilica di San Costanzo con centinaia di fedeli anche all’esterno, sul sagrato, dove era stato allestito un maxischermo.
Mons. Giulietti, che si è soffermato sul significato dei doni simbolici offerti in onore di san Costanzo (la corona d’alloro, il cero, il dolce tipico della festa, il vinsanto e l’incenso), ha esordito dicendo: «Offriremo cinque doni simbolici, come ogni anno. Siamo in un periodo in cui abbiamo tanti simboli… ma i cinque simboli che offriamo sono di una natura particolare, perché esprimono due comunioni. La prima è la comunione tra tutti quelli che si vedono rappresentati in questi simboli: le autorità civili e di pubblica sicurezza, le famiglie, i commercianti, i membri della comunità cristiana. Simboli che uniscono e fanno sentire parte di una medesima realtà. Ma questi simboli esprimono un’altra comunione come suggerisce papa Francesco nell’ultimo capitolo dell’enciclica della Laudato sì, quando parla del fatto che la liturgia rende onore a Dio attraverso delle cose che appartengono alla nostra vita: il pane, il vino, l’acqua, la luce, esprimendo la convinzione che Dio abita dentro la realtà».
«Nella nostra vita, in quello che noi facciamo e viviamo non solamente siamo in comunione tra di noi – ha proseguito mons. Giulietti –, ma siamo anche in comunione con Dio. I doni simbolici che noi davanti all’urna del martire Costanzo esprimono questo desiderio e questa convinzione della possibilità di comunione, perché rendono presenti i vincoli che stringono tra di loro coloro che appartengono a una medesima comunità condividendone il lavoro, l’impegno ma anche la sofferenza e le spine ed esprimono, ad un tempo, il vincolo che lega questa comunità con il mistero santo di Dio».
«Questi cinque simboli non sono casuali – ha sottolineato il presule –, perché sono realtà che sono accreditate verso di noi dalla storia di quanti che per questi simboli hanno speso il loro sangue. Nessuna comunità può essere unita senza condividere delle storie se non ha dei simboli che esprimono le radici più profonde e se non sente i legami che esistono tra le persone non rispondono semplicemente alla condivisione di interressi per quanto ragionevoli ed umani essi siano. Sono vincoli che nascono da una fraternità più profonda, dall’essere uniti da quell’amore di Dio che abbiamo sentito narrare da san Paolo nella lettura breve dei Vespri: “Chi potrà separarci dall’amore di Dio”, che cosa potrà allontanarci dalla salvezza che riceviamo da Lui e per questo che Gesù ci ha amati perché il Padre ha fatto di tutti un popolo solo».
«Abbiamo la certezza che queste narrazioni non sono delle favole – ha detto mons. Giulietti avviandosi alla conclusione –, ma sono delle realtà che davvero fondano la possibilità di vivere insieme, superando anche le contrapposizioni e le normali divergenze di opinioni che animano la vita sociale e politica della comunità. Lasciamoci ancora una volta raccontare da questi cinque gesti simbolici di quello che ci unisce al di là di quello che anche legittimamente ci divide. Abbiamo il dovere di trasmettere alle generazioni future questo spirito di comunione, come anche abbiamo il dovere di condividere la nostra comunità con chi arriva da altri Paesi e da altre culture che di questa comunità desidera far parte, perché sono queste le nostre radici ed è questo che abbiamo ricevuto in dono dall’amore di Dio per rimanere uniti e per camminare insieme come una vera comunità».