Una scossa per l’Umbria
di Pierluigi Castellani
I dati recentemente pubblicati dall’Unioncamere sulle attività produttive della nostra Regione non può non destare preoccupazioni. Secondo l’Unioncamere dell’Umbria nei primi mesi di quest’anno ben 2.022 imprese sono state cancellate non interamente compensate dalle nuove iscrizioni. Il saldo negativo è dello 0,56% quando in Italia invece il saldo rimane positivo. Questa mortalità delle imprese umbre sta a significare come il tessuto produttivo regionale sia molto fragile ed al di sotto del restante centronord del nostro paese. La ripresa in Italia c’è, come dicono i dati Istat, ma l’Umbria non riesce ad agganciarsi. Così è anche per il tasso di disoccupazione. Nel 2017 è stata registrata una debole ripresa dell’occupazione (+600 unità), ma nel 2004, prima della crisi, in Umbria il tasso di disoccupazione era del 5,8% ed ora è pressochè raddoppiato. Inoltre c’è da registrare un aumento del lavoro precario come però è un po’ in tutto il paese. Questi dati interrogano la politica, ma interrogano anche la società regionale nel suo insieme, perché se il dato tra imprese cessate e nuove imprese è negativo questo significa che è scarsa la propensione degli umbri a fare impresa, a mettersi in gioco, a creare occasioni di autoimpiego, impegnando soprattutto proprie capacità per sondare anche nuovi campi di settori produttivi. Investe anche le forze sindacali, che devono pur fare una riflessione sul perché la fiducia per i sindacati è diminuita al 17% come dati nazionali hanno recentemente reso noto. E’ chiaro che ci vogliono politiche che favoriscano il fare impresa, che occorre tornare anche ad una politica di investimenti pubblici, che possano rimettere in moto l’economia, ma è sempre più evidente, anche per le dinamiche intrinseche alla società moderna, che è l’impresa a creare posti lavoro e che non bastano le leggi per ridurre la disoccupazione, né per difendere l’occupazione. Occorre una scossa che investa le istituzioni ma anche tutta la società umbra.
Opportunità la nostra regione ne ha e vanno prontamente colte. Ci sono delle eccellenze che possono essere ulteriormente potenziate. Si tratta del turismo, che sta registrando un trend decisamente positivo, dell’abbigliamento, della meccanica, dell’agroalimentare, dell’enogastronomia, tutti settori in cui l’Umbria può migliorare ed incrementare le proprie esportazioni e poi c’è ora l’opportunità offerta dalla ricostruzione postterremoto, che può rilanciare l’edilizia settore decisamente in crisi in questi ultimi anni. A proposito della ricostruzione ci sono alcune difficoltà da superare ma che vanno decisamente affrontate. Occorre istruire senza ritardi le pratiche dei privati, offrire certezze in termini normativi senza pericolose ambiguità ed affrontare la ricostruzione dell’enorme patrimonio artistico e culturale distrutto dal sisma. E’ chiaro che non tutto può essere fatto subito, perché il patrimonio artistico va ricostruito tenuto conto della memoria storica, che quei luoghi conservano. Ma l’alibi della mancanza dei finanziamenti non può essere invocata. I finanziamenti ci sono. Gli ultimi governi in questo senso hanno saputo dare risposte. Ora occorre cercare di velocizzare al massimo la ricostruzione senza farsi irretire dalla burocrazia. C’è bisogno di un colpo d’ala complessivo, che metta in sinergia risorse pubbliche e private, cosa questa che già l’Umbria ha saputo ben fare dopo il terremoto del 1997. Ma per una ripresa della nostra economia va affrontato anche il nodo del tessuto produttivo troppo frammentato in piccole aziende ,che non hanno la capacità di muoversi sul mercato globale. Per questo va fatta anche una riflessione sul nostro sistema creditizio. In questi anni abbiamo assistito ad una ristrutturazione delle banche presenti nel nostro territorio con uno spostamento dei centri direzionali fuori dalla regione. C’è stato in questo caso un silenzio della politica, ma anche degli operatori economici umbri, che forse non hanno saputo dimostrare di poter dare alle nostre banche una governance adatta al nuovo secolo.