DIS…CORSIVO. I GOVERNATORI VS RENZI

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / I Presidenti di Regione sono chiamati anche “governatori” per un atto di superfetazione linguistica compiuto qualche anno fa dai giornalisti e, a dire la verità, non proprio stigmatizzato dai diretti interessati. Lui, invece, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rimane tale nonostante le insidie linguistiche e le intemperanze ideologiche di chi lo nomina, variamente, premier, primo ministro e capo del governo. Le improprietà terminologiche passate nell’uso corrente e quelle che non riescono a fare altrettanto definiscono, nel loro insieme, un quadro di riferimento utile a capire, di volta in volta, il tipo di personalità alla quale siamo di fronte. Se, ad esempio, Silvio Berlusconi amava – s’intende solo dopo il titolo di cavaliere – farsi chiamare in maniera variopinta perfino capo del governo alla maniera mussoliniana (e il “duce” di Predappio aveva così un equivalente immaginifico nel “cavaliere” di Arcore), Matteo Renzi col suo titolo la mette, con un piglio da scout, sul piano del decoro istituzionale senza lasciarsene mai del tutto ricoprire, neanche quando deve dire il fatto suo ai Presidenti delle Regioni. Quell’ “hanno qualcosa da farsi perdonare” è beffardo, investe la sfera morale, sembra un rimprovero da capo scout che ha colto con le mani nel sacco dei giovani “pionieri”.

Che ne è dunque, con Renzi, del termine “governatore”? Siamo alla fine di un ciclo del regionalismo italiano se il Presidente del Consiglio conferma la delegittimazione, quanto meno parziale, di quella guida della classe politica regionale che, anno dopo anno, non è stato più possibile definire “locale” – come sono e continuano a essere un Comune e una Provincia – ma, con qualche audacia di approssimazione giuridica al modello americano, “statuale su base federale”. I “governatori”, insomma, stanno per andare in soffitta. Parteciperanno al nuovo Senato, quando vedrà la luce, avranno voce in capitolo su molti affari legislativi oltre a quelli che esercitano in casa propria, ma, intanto, si prendono questa staffilata sibilante del Presidente del Consiglio, che toglie loro i galloni di “governatore”.

Il Presidente, si sa, esagera sempre un po’ quando si tratta di assestare colpi a effetto. Ma il bello è che, assorbito lo choc della sua censura, non si torna indietro, non arriva la madre soccorrevole dopo il padre punitivo. Come nel caso della Provincia, Renzi si è fatto un’idea molto precisa del tipo di spreco che vuole colpire e sa che, al di là del valore numerico ricavabile dalle sue linee di risparmio, spesso non decisivo per la spending, è il messaggio a contare. Egli, infatti, è convinto che l’opinione pubblica, quella che poi va a votare, deve togliersi qualche sassolino dalle scarpe, dopo che l’ha chiesto per i consiglieri provinciali e per le relative giunte, anche per il funzionamento delle Regioni. Ed è deciso a seguire questo filo di protesta con lo stesso tono che userebbe chiunque è rimasto insoddisfatto dal suo rapporto con la Regione di appartenenza. “Non ti dico apertamente dove stai sbagliando, guardati in casa e lo scoprirai da solo, hai voglia se lo scoprirai!”: questo è il messaggio che Renzi, come una persona della classe media italiana, rivolge senza altri fronzoli ai suoi interlocutori, i “governatori”, senza scomodare quello salgariano di Maracaibo, dello Stato federale di Vattelappesca.

La questione che, in ogni caso, la sortita del Presidente del Consiglio ha posto è quella delle garanzie che i Presidenti delle Giunte regionali d’Italia possono dare alla Nazione sulla virtuosità delle spese per l’apparato e, per estensione, sui costi dei servizi che i loro bilanci prevedono per i bisogni essenziali delle comunità che amministrano. Si tratta, insomma, di pura e semplice amministrazione, com’è per un Comune e per una Provincia. Alla Regione sarebbe chiesto il bagno di umiltà del fare di conto, indispensabile per rendere ancora più autorevole il potere di fare le leggi che le nobilita.

Il conflitto è, ancora una volta, generazionale. Guardando l’età media dei “governatori” oggi in carica, si notano 6 ultrasessantenni, 8 politici fra i cinquanta e i sessant’anni, 6 fra i quaranta e i cinquant’anni. Undici sono le Presidenze lontane dal rinnovo, essendosi votato per esse nell’ultimo biennio (Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Trentino e Valle d’Aosta), nove (compresi i casi di Calabria e Emilia-Romagna) quelle prossime al rinnovo, essendo uscite dal rinnovo del 2010 (Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto).

Il Capo Scout, dal canto suo deve ancora varcare la soglia dei quarant’anni, anche se la soglia è ormai vicinissima, l’11 gennaio del prossimo anno e quanto al rinnovo spiazza i contendenti spostandone via via la scadenza e, in ogni caso, contando la distanza temporale in giorni.

Di fatto, in questi giorni stiamo assistendo a prove tecniche di dialogo tra il Presidente del Consiglio e la guida dei “governatori”, l’assennato sessantaseienne Sergio Chiamparino, decano di tutti i Presidenti di Regione. Caldoro, cinquantaquattrenne “governatore” della Campania, si prende delle licenze da fratello maggiore e replica a Renzi con una parabola sul buon padre di famiglia e il suo comportamento verso i tre figli (ministeri, comuni e regioni), che penalizzerebbe proprio il figlio “promosso”, cioè le regioni.

Il dialogo, in realtà, non c’è, perché la distanza tra le generazioni si sta rivelando sempre più incolmabile e sono i figli, non i genitori, ad avere preso ormai l’iniziativa in maniera inarrestabile e radicale, usando un linguaggio e compiendo cose fuori da ogni logica patriarcale o matriarcale. Sono i figli, quelli sotto i quarant’anni, ad avere il gioco in mano. E sono nati, poco più poco meno, quando i loro padri hanno votato, per la prima volta, per le Regioni. Che siano loro a volersi disfare delle Regioni, come, più o meno polemicamente, rilancia il “governatore” della Campania? Da padre, da ultrasessantenne, preferirei stare a vedere le intenzioni dei ragazzi al governo e capire se per caso non sia vero, per ora, che vogliono solo un’azione riformatrice della macchina amministrativa regionale.

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