50 anni dalla primavera di Praga

di Pierluigi Castellani

Quando nell’agosto del 1968 i carri armati sovietici soffocarono la primavera di Praga, glorioso e non effimero epigono di quel movimento ,che infiammando tutto l’Occidente  voleva portare “l’immaginazione al potere”, non vanificarono solo l’illusione del socialismo dal volto umano di Alexander Dubcek ma le speranze dei tanti, che ,non solo al di là della cortina di ferro, anelavano ad orizzonti di maggiore libertà. Poi la storia  vent’anni dopo ,nel 1989, si è presa la sua rivincita facendo crollare il muro di Berlino e con esso tutto il blocco sovietico. Ma la lezione di quella stagione è sempre viva per chi non vuole rassegnarsi alla ventata di sovranismo populista, che oggi invade l’Europa e tutto l’occidente e che oppone chiusure e regressione a chi invece aspira ancora ad accrescere diritti e libertà per tutti i popoli.

Quel grumo di aspirazioni e speranze rappresentato dalla primavera di Praga del ‘68 e dalle altre primavere, che l’occidente ha vissuto, ora sembra che si sia fatto detrito, che zavorra la storia di questo nuovo secolo, ma che morde ancora tutte le coscienze non disposte ad archiviare tutte le primavere con melanconici e tristi autunni. Le mani nude con cui i giovani praghesi si opposero ai cingolati sovietici in piazza San Venceslao, in quella piazza che vide il sacrificio del giovane Jan Palach, datosi fuoco per protesta contro l’occupazione sovietica, richiamano e sollecitano altro coraggio per tutti coloro, che oggi vogliono opporsi a chi vuole chiudere i propri paesi in antistoriche frontiere, rifiutandosi di accettare una modernità, che è sì sfida ed impegno ma che è anche ineluttabile premessa di ogni sviluppo e pace duratura. Certo si fa fatica a pensare che Praga, oggi insieme agli altri paesi del blocco di Visegrad, sia la stessa della rivoluzione di velluto di Vàclav Havel, l’intellettuale e drammaturgo che fu il primo presidente democratico della repubblica cecoslovacca e che aprì quel paese all’occidente ed all’Europa. Ma chi voglia oggi ripensare, cinquant’anni dopo, alla primavera di Praga ed alle  speranze, che nutrirono tante battaglie ed aprirono tanti nuovi orizzonti, non può rassegnarsi al grigio autunno che il sovranismo populista sta stendendo sull’Europa.

 

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