DIS…CORSIVO. PRÌNCIPI E PRINCIPIANTI
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Sarebbe fin troppo facile prendere a pretesto la mostra appena inaugurata su “Machiavelli e il mestiere delle armi” a Palazzo Baldeschi per tracciare metafore e istituire ammonimenti utili alla società politica regionale proprio partendo dal testo del Principe. Molti dei protagonisti dell’attuale e prossima futura scena politica umbra sanno bene che, anche dopo mezzo millennio, possono essere considerati anche loro destinatari dei consigli contenuti nel celebre trattato. Chi poi non lo sapesse, o non se ne rendesse conto, potrebbe pur sempre vantare esperienza a iosa in materia di incarichi politici, una così precisa cognizione dei meccanismi del potere tale da poterci riscrivere, da cima a fondo, il capolavoro di Machiavelli.
La moltiplicazione locale dei “prìncipi”, la facilità con cui si è ritenuti tali anche nel più sperduto borgo oltre che nelle sale eminenti del potere regionale, dovrebbe però far riflettere in qualche modo sulla mescolanza di autentici signori e di veri e propri principianti alla quale machiavellicamente assistiamo e debolmente offriamo, per suo chiarimento, un servizio del tutto disinteressato.
La promozione a Principe – primo consiglio – deve avvenire non per eredità, ma dev'essere il punto di arrivo di una nuova conquista, quand'anche si fosse nelle condizioni di poter vantare un precedente primato principesco su un dato territorio. Andare per eredità rende tutti più tranquilli, ma non è detto che faccia procedere la civiltà del principato locale. Sono tante le difficoltà alle quali si va incontro esponendosi a un nuovo Principe, ma alla fine il risultato può essere davvero quel progresso che con la stanca ripetizione del potere ereditato non si alimenta e non si migliora.
A chi ha esercitato a lungo il Principato – secondo consiglio – verrebbe in ogni caso riconosciuta l'autorità morale su quanti sono in competizione fra di loro per succedergli: ottima scuola per allevare i principianti è quella di far crescere gli apprendisti prìncipi con l'esempio dei grandi predecessori, facendo capire loro l'inopportunità di guadagnarsi un titolo attraverso atti palesemente scellerati.
Il Principato si conquista – terzo consiglio – sapendo tenere insieme l'aiuto dei concittadini e il consenso dei potenti. Qui non si può fingere, non si può credere né fare credere che si arriva al primato principesco solo perché il popolo sparso o le lobbies concentrate esprimono la maggioranza delle loro preferenze. Il nuovo Principe deve saper giostrare fra le due spinte, senza offenderne l'una o deprimerne l'altra, deve sapere come il popolo e le lobbies hanno bisogno reciproco di sostenersi e di sostenere l'autorità del detentore del nuovo principato.
La contesa elettorale – quarto consiglio – è una specie di lotta armata sublimata in torneo democratico. Valgono qui accorgimenti di strategia militare vera e propria per sapere, in partenza, su quali forze si può contare, quali sono i mercenari e quali i lottatori fedeli: “Un Principe saggio” - scrive Machiavelli - “ha sempre evitato di servirsi degli eserciti altrui e ne ha creato uno proprio; ed ha voluto piuttosto perdere con le sue truppe, che vincere con quelle degli altri, non giudicando vera una vittoria che si ottiene con le armi altrui”.
Anche il Principe – quinto consiglio – è, infine, un essere umano come tutti gli altri e, quando ha raggiunto il primato, si espone, col suo comportamento, tanto alla lode quanto al biasimo. Già dai tempi di Machiavelli abbiamo imparato a lasciare da parte le regole immaginarie di comportamento di un Principe e a considerare solo quelle realmente riscontrabili. Il consenso – del popolo e delle lobbies – dato al Principe esige che ci si prepari ad avere da lui atti e provvedimenti non sempre virtuosi e dotati di specchiata moralità. Ancora Machiavelli: “E io so che ciascuno ammetterà che sarebbe cosa lodevolissima se, di tutte le qualità citate sopra, in un Principe si trovassero soltanto quelle che sono ritenute buone; ma poiché non si possono avere né rispettare interamente, per la stessa condizione umana che non lo consente, è necessario a un Principe essere tanto accorto che sappia evitare l’infamia di quei vizi che gli farebbero perdere il potere, e guardarsi, se gli è possibile, da quelli che non glielo farebbero perdere; ma, se non gli è possibile, si può lasciare andare a questi vizi senza troppo timore. Allo stesso modo non si curi del biasimo che gli può derivare da quei vizi, senza i quali potrebbe difficilmente mantenere lo stato; perché, se si considererà tutto, si troverà sempre qualcosa che sembrerà virtù e seguendolo il Principe sarebbe portato alla rovina; e qualcos’altro che sembrerà vizio e seguendolo ne ricaverebbe sicurezza e benessere”.
Per continuare a farsi stimare – sesto consiglio – il Principe, raggiunto il primato, non deve, prima di tutto, abbandonare le sue truppe, deve poi compiere, almeno una volta, qualcosa di raro ed eccezionale, ma, soprattutto, deve evitare, con la scusa di essere bipartisan e persona delle istituzioni, di apparire neutrale anche quando la neutralità è palesemente fittizia e nasconde interessi di parte.
Infatti, la più grossa insidia che si prepara a un nuovo Principe – settimo consiglio – è quella di trovarsi circondato di adulatori, fra le cui fila egli non riesce a distinguere più l'amico dal nemico, l'opportunista dall'idealista, il delatore dal seguace inaspettato. Il Principe, perciò, agirà con una schiera ristrettissima di collaboratori e dovrà accrescere la sua figura politica giorno per giorno, stupendosi delle congiunture più disparate nelle quali la sua autorità è destinata ad attecchire.
Non so perché, come dicevo all'inizio, questa infilata di riflessioni un po' asseverative mi sia uscita dalla penna. L'effetto-Machiavelli comincia a manifestarsi appena compaiono, come nella mostra di Palazzo Baldeschi, nome, immagini, icone, contorni umbri del poliedrico fiorentino, ma non è detto che i destinatari dei consigli sopra enunciati in suo nome siano disposti ad ascoltarne almeno uno. Questo, del resto, è il destino di Machiavelli e della fama con la quale egli è passato alla storia. Il miglior segreto machiavellico è, in ogni caso, non scoraggiarsi e per non scoraggiarmi prometto, tanto per cominciare, un articolo di illustrazione non neutrale del ritorno di una mostra di rango a Palazzo Baldeschi.