Democrazia in cambiamento

di Alvaro Bucci

“Il secondo Governo Conte, con i suoi toni decisamente com­passati, avrà fatto tirare un sospiro di sollievo a quanti erano rimasti inorriditi dallo spettacolo offerto dalla politica italia­na durante l’estate in termini di volgarità, pochezza e superficialità delle argomentazioni e non di rado autentica ignoranza. Ad altri avrà dato la sensazione di un ritorno al passato, più o meno gradito a seconda dei gusti di ognuno. Ma la chiusura della crisi politica non mette fine a una situazione di affaticamento e progressivo svuotamento della vitalità della democrazia che ormai va avanti da anni e che non riguarda solo l’Italia”. Esordisce così il gesuita Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti sociali, in un editoriale della rivista con cui evidenzia alcuni elementi che segnerebbero una mutazione della democrazia.  Non si può in effetti disconoscere, specialmente da chi ha vissuto l’esperienza democratica e politica italiana della seconda metà del XX secolo, tra cui chi scrive, come le modalità dell’agire nell’attuale sistema democratico risultino del tutto mutate e tali da suscitare una sorta di rimpianto per la democrazia in quegli anni conosciuta e praticata.

Ma occorre metterci il cuore in pace, perché quella democrazia non esiste più ed è inutile pensare che sia possibile restaurarla. Perché non si tratta di stare di fronte ad una crisi della democrazia, superabile con correttivi, ma di convincerci che la democrazia “sta cambiando pelle”, come sottolinea Giacomo Costa.

Diverse sono le cause che hanno portato alla crisi della politica e quindi della democrazia, a partire dalla fine delle ideologie, che ha condotto ad una sorta di pensiero unico ed al conseguente disimpegno nel perseguire progetti di società nonché all’emergenza di rischi di esposizione alla corruzione e corrosione etica. Il non compiuto disegno dell’Unione Europea che ne ha suscitato sfiducia e la globalizzazione che ha allargato le disuguaglianze hanno fatto il resto. Per cui la democrazia, come ha sottolineato Pierluigi Castagnetti nel suo intervento alla Settimana teologica del Meic, “è arrivata a un punto da doversi reinventare”.

Peraltro la disaffezione nei confronti della democrazia è ormai certificata anche da statistiche internazionali: in Italia la percentuale di insoddisfatti risulta nel 2018 del 70%, rispetto a un minimo del 30% in Svezia. Un malcontento che affonderebbe le radici nelle preoccupazioni per l’economia, per la tutela dei diritti individuali e i privilegi delle élite, ed è alla base dell’affermazione di leader e movimenti che si definiscono antisistema.

Si osserva anche che la democrazia cambia perché è lo specchio di una cultura che sta anch’essa mutando, e questo può considerarsi semplicemente normale, o addirittura sano. Anzi, per Costa “la capacità della democrazia di mutare potrebbe essere la chiave per la sua permanenza, in forme diverse ma continuando in modo nuovo a salvaguardare i valori di libertà e di uguaglianza da cui nasce”.

Sarebbe interessante compiere a questo punto un’analisi dei profondi mutamenti culturali, antropologici e tecnologici che stiamo vivendo. Ravvisandone l’impossibilità, mi limito a richiamare, seguendo l’argomentare dello stesso Costa, uno degli elementi distintivi del nostro tempo: “il primato della concretezza rispetto alle teorie, i principi e i valori”, che è la conseguenza della fine delle ideologie. Senza problemi oggi, osserva il gesuita, si afferma una cosa e poco dopo il suo contrario, i nemici giurati diventano alleati e gli alleati nemici giurati. Mi sembra assai agevole riscontrare queste caratteristiche nelle vicende politiche di questi ultimi tempi. La parola, sempre portata all’eccesso per motivi di campagna elettorale, non è espressione di convinzioni profonde e non impegna: l’importante è soprattutto quello che si annuncia di fare.