La scomparsa di Italo Moretti
di Pierluigi Castellani
Italo Moretti ci ha lasciato. Non era per noi soltanto il fratello famoso del nostro carissimo Luciano, direttore di questa testata per alcuni anni fino alla morte, ma il grande inviato speciale della RAI nonché direttore del TG3, il giornalista che aveva un modo impressionante di dare vita a fatti importanti, che hanno caratterizzato la vita politica e sociale dello scorso secolo. Il suo lavoro di giornalista televisivo fu molto apprezzato tanto da meritare nel 1972 il premio Saint Vincent per il racconto radiofonico trasmesso da Addis Abeba dove un’ora prima era accaduta una sciagura area che lo aveva visto tra i pochi sopravvissuti.
Il lavoro di Italo Moretti era infatti caratterizzato non solo da una presa diretta dei fatti, ma da un attento e documentato racconto delle vicende umane coinvolte, da un’attenzione all’evolversi delle politiche sociali soprattutto nei paesi dove la democrazia veniva messa in discussione e dove i diritti umani venivano conculcati. In questa direzione Moretti si è mosso occupandosi soprattutto del Sud America, del Cile di Pinochet, del San Salvador e di Mons. Romero, del Brasile, dell’Argentina, insomma di tutte le situazioni che vedevano messa in pericolo la dignità della persona umana. Al mondo sudamericano Italo Moretti ha dedicato trasmissioni televisive, saggi e reportage giornalistici di grande rilievo. Non si limitava al semplice racconto, ma cercava di scavare per fare emergere quanto di nascosto non aveva avuto dignità di parola nelle storie che venivano raccontate. Moretti si è così occupato dei desaparecidos, delle madri di Plaza de Mayo, dando voce a chi era stata negata, diventando un esperto di queste vicende tanto da essere chiamato a parlarne nel 2000 davanti alla seconda Corte di Assise di Roma nel processo intentato contro ufficiali delle forze armate argentine accusati di essere responsabili della scomparsa di giovani figli di emigranti italiani. Un giornalismo il suo che si potrebbe sbrigativamente chiamare militante e che invece voleva essere di più che una semplice memoria dei fatti. Se si vuole descrivere la verità, se si vuole fare del giornalismo anche un vero strumento di conoscenza, allora il giornalista non si deve fermare alla superficie, deve far emergere il racconto delle donne e degli uomini che di quei fatti sono stati dolorosi testimoni.
“Consideravo, svolgendo il mestiere dell’inviato – scrive Italo Moretti nell’introduzione ad un suo saggio su quelle vicende dal semplice titolo “ In Sudamerica” -, che il mio compito dovesse esaurirsi nella quotidianità dell’informazione e del commento. Sono stato però testimone di lotte e di speranze, di errori e di orrori, di viltà e di eroismi che era opportuno recuperare dalla memoria e proporli ai lettori, con la speranza di meritarne l’attenzione”. Per questo ci piace ricordare Italo Moretti, non solo come una figura significativa di Perugia e dell’Umbria, ma come un grande testimone del nostro tempo.