L’ Ndrangheta investiva in Umbria, società cartiere e movimentazione bancaria: come riciclare il denaro sporco
L’operazione di questa mattina, in Umbria e Calabria, conferma la presenza della ‘ndrangheta nel capoluogo umbro. I beni sequestrati, per un valore complessivo di 8 milioni di euro, sono infatti riconducibili agli eredi di un esponente di vertice della cosca “Trapasso” di San Leonardo di Cutro e a un imprenditore calabrese, entrambi elementi di riferimento in Umbria. Proprio dall’arresto del boss di Cutro, morto poi nel 2020 di Covid mentre era detenuto, erano emersi elementi evidenti sulle infiltrazioni delle cosche crotonesi in Umbria. Con un ulteriore elemento inquietante: il boss deceduto era considerato uomo di fiducia di Cosimo Commisso, capo della potente cosca di Siderno, ugualmente radicata nella provincia di Perugia. L’inchiesta di Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, ha consentito di accertare l’esistenza di un sodalizio criminale in Umbria che aveva l’ obiettivo di inquinare il tessuto economico e imprenditoriale della nostra regione e in particolare del capoluogo. Gente che avrebbe – così dicono le indagini – dimostrato una notevole dimestichezza nel manipolare istituti societari, contabili e finanziari in modo da trarne ulteriori benefici economici. Un sistema criminale che vedeva protagonisti proprio i destinatari dei provvedimenti di sequestro di oggi. C’era chi si preoccupava del traffico di stupefacenti (Trapasso), intrattenendo rapporti strutturati con organizzazioni criminali albanesi e chi (Commisso), invece, aveva assunto la gestione di un sistema dedicato alla realizzazione di reati di natura finanziaria e tributaria. Un’attività criminosa assai articolata tanto da fruttare, nel solo periodo interessato dalle indagini, circa 700 mila euro. Attività che facevano leva sulla costituzione o acquisizione, attraverso prestanome nullatenenti, di società cartiere, alle quali, attraverso iniziative illecite di natura tributaria e finanziaria (redazione di falsi bilanci societari, false fatturazioni, aumento fittizio di capitali sociali e altro) veniva data una parvenza di normalità, al fine di consentire l’accesso al credito bancario e, successivamente, arrivare a dichiarare il fallimento realizzando così un giro vorticoso di trasferimenti d’azienda in favore di altri soggetti non rintracciabili o comunque non aggredibili dal punto di vista imprenditoriale. La conseguenza di questo convulso giro d’affari era l’impossibilità per l’istituto bancario erogante di poter recuperare il finanziamento concesso. Le indagini hanno dimostrato la pericolosità sociale della ‘ndrangheta che tende a reinvestire, attraverso l’interposizione fittizia di stretti congiunti o di terze persone, i proventi delle attività delittuose non solo nell’acquisto di beni mobili e immobili di ingente valore ma anche in compagini societarie, operanti prevalentemente nel campo dell’edilizia, degli autotrasporti e della ristorazione. Dietro lo schermo dei “prestanome” avevano messo in piedi società anche in Umbria e a Perugia in particolare. Dagli approfondimenti patrimoniali è emerso che, a fronte di soggetti e nuclei familiari con redditi modesti o irrilevanti, gli indagati avevano la disponibilità di 9 compagini societarie, 1 impresa individuale, 42 immobili, tra terreni e fabbricati, 41 automezzi, 3 posizioni nell’ambito di altrettanti contratti di leasing per l’acquisto di veicoli, circa 50 rapporti finanziari, titoli e depositi per un valore complessivo stimato di circa 8 milioni di euro. In Umbria, gli eredi del capo della cosca “Trapasso” di San Leonardo di Cutro hanno applicato alla lettera la strategia della ‘ndrangheta locale: l’illecito arricchimento attraverso l’infiltrazione capillare nel tessuto sociale ed economico. Un giorno, circa cinque anni fa, Nicola Gratteri in un incontro pubblico a Perugia disse: ” Le imprese in sofferenza hanno bisogno di soldi e le mafie sono pronte a invadere ogni spazio lasciato vuoto nell’economia legale”. Molte attività imprenditoriali medio-piccole, sottolineò sempre Gratteri, sono già finite nelle mani dei boss e dei loro prestanome. In alcuni casi non ci sono state nemmeno modifiche all’assetto societario. Il proprietario dell’azienda rilevata è rimasto al proprio posto, ma senza avere più alcun potere decisionale. E’ stato lo stesso procuratore generale di Perugia, Sergio Sottani, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario a ricordare che l’Umbria “proprio per la sua immagine di zona franca, si presta ad operazioni di riciclaggio e reimpiego di proventi derivanti da attività delittuosa”. A parere di Sottani per ” scoprire la cosiddetta ‘mafia silente’ è indispensabile un’ elevata professionalità delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria, capaci entrambi di captare i cosiddetti reati spia e di saper interpretare i sintomi dell’eventuale manifestazione dei fenomeni di infiltrazione”. Una sfida non sempre semplice, anche perché fuori dalla Calabria gli uomini della ‘ndrangheta si presentano con il volto rassicurante di figure professionali in grado di offrire servizi e soluzioni a basso costo. Più o meno come è emerso dall’ inchiesta che ha portato, questa mattina, al sequestro di beni per un valore complessivo di 8 milioni di euro.