DIS…CORSIVO. PERUGIA
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Perugia è una città che dimentica con estrema disinvoltura il suo passato, ma in questo non è poi tanto differente da molti altri centri di provincia ai quali è stato assegnato il rilievo di capoluogo regionale.
L'oblio vero, quello che contraddistingue Perugia, risiede nella mancanza congenita di un territorio in grado da fare da specchio territorialmente significativo alla dimensione politica e culturale del capoluogo.
Nei secoli, a ben guardare, Perugia ha tenuto in equilibrio se stessa e l'espansione sull'Umbria solo per brevi periodi, specie nel Medioevo e alle soglie dell'epoca rinascimentale. Il lunghissimo dominio papale, sul quale il giudizio negativo che ha pesato per molto tempo non può più essere tranciato oggi con la nettezza di un tempo, non ha, in ogni caso, favorito l'integrazione dinamica tra il capoluogo e l'Umbria.
La classe politica risorgimentale, poi, si è trovata di colpo a fare i conti con una dimensione territoriale vastissima, com'era l'unica Provincia Umbra, e ha fatto poco più che in tempo ad attrezzarsi alla bisogna che l'esperimento di area molto vasta (l'Umbria e la Sabina) è stato interrotto dal fascismo.
Nel secondo dopoguerra è cominciato il laboratorio umbro a due Province prima e a struttura regionale poi: su Perugia è rifluita e confluita tutta l'Umbria in termini di rappresentanza politica, ma il movimento opposto, centrifugo, dalla città al suo territorio è mancato, è stato dimenticato, sia perché non c'erano molti presupposti storici ai quali rifarsi, sia perché il governo regionale umbro, con le sue inamovibili maggioranze di sinistra, ha voluto affermare, con una certa testardaggine intellettuale, il primato di un modello teorico di sviluppo - rimasto, il più delle volte, solo sulla carta - nel quale il ruolo del capoluogo regionale doveva avere una rappresentatività e una dignità a tutti i costi, anche a scapito di divenire autoreferenziale e confinato nella cittadella perugina.
Perugia, negli ultimi trent'anni, è diventata, così, sempre più la sua acropoli e le è sfuggito di mano qualunque processo di sviluppo territoriale umbro. La città ha perso la sua identità a partire da quella del suo centro storico, per proseguire con quella delle sue propaggini rionali e per finire con una pessima interpretazione del modello di sviluppo della sua periferia. Quanto all'Umbria, Perugia, molto probabilmente, oggi non sa neppure cosa essa sia. E la cosa grave è che nemmeno l'Umbria sa più che cos'è, per essa, il capoluogo.
L'oblio è generalizzato: se l'Università langue non sarà anche perché non si confronta più con quel modello di sviluppo che aveva attuato, non certo millenni fa, un uomo come Giuseppe Ermini, personaggio assolutamente archiviato e negletto?
Quello dell'Università è un esempio-limite, che si potrebbe replicare all'infinito. O, meglio, una sosta nell'infinito potrebbe essere considerata quella dello scacco subìto in occasione della candidatura a Capitale della cultura per il 2019, dove è patente che Perugia ha perso per non avere saputo leggersi come territorio umbro.
Sul suo futuro, oggi Perugia ha molte incognite, già a partire da un'esatta interpretazione del collegio unico per le prossime regionali, preludio di quel riaccorpamento fra Regioni che sarà il vero banco di prova della sua credibilità: si dovranno formare, insomma, una classe politica e un'assemblea legislativa in grado di misurarsi con il superamento dell'arroccamento sterile di Perugia nella sua acropoli, che, invece, finché rimarrà tale, farà della città una specie di paesi dei balocchi, dove non si fa altro che suonare il jazz e divorare cioccolata per dimenticare - di nuovo, un oblio! - tristi pagine di cronaca.