LETTURE. ERSILIA
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Per il periodo estivo, con cadenza irregolare, ho pensato di regalare “letture” di brevi racconti al pubblico di UD. Vecchie cronache si trasformano in pagine di narrazione che riscrivono del tutto arbitrariamente storie mai avvenute.
L’importante è che l’insieme risulti accettabile, anche se, o proprio perché, è stato sicuramente oggetto di riscrittura infedele e incrociata di fatti provenienti da più cronache fra loro mai collegate.
***
“Certo che se l’Ersilia fosse morta durante la guerra, poverina, sai quanti patrioti ci sarebbero stati al suo funerale!” – commentò Beniamino rivolto al suo amico Augusto.
Stavano al bar, la giornata era torrida. Augusto non se la sentiva proprio di farsi coinvolgere in un discorso tanto pesante e avvilente. Tutto il rispetto che vuoi per una giovane finita così presto e così drammaticamente, sepolta giusto il giorno prima, ma adesso perché tirare fuori quel discorso? Tuttavia, si fece animo e, per non essere scortese, bofonchiò qualche risposta alle parole di Beniamino e cercò di portare altrove il discorso. Ma ebbe un attimo di esitazione e l’amico si precipitò a rincarare la dose: “Lo sai che ridendo e scherzando” – aggiunse – “sono passati tondi tondi quattro anni? A confronto, quei poveri soldati della Grande Guerra che morivano al fronte o fra le braccia dell’Ersilia, in ospedale, per ferite e malattie varie, hanno avuto una sorte meno disgraziata”.
A sentire rievocare questi particolari, Augusto sembrò scuotersi. La storia della malattia dell’Ersilia: e chi non la ricordava in città, chi non aveva seguito quasi giorno dopo giorno l’evoluzione della sua malattia?
Augusto, veramente, ricordava anche qualcosa di più, le tante chiacchiere, le dicerie infamanti che erano corse su quel morbo. Certo Beniamino, bigotto com’era, si sarebbe guardato bene dal metterle, ancora una volta, nel discorso, certe squallide voci, ma parlando dell’Ersilia, con tutto il rispetto, era impossibile non andarci a pensare, non tornarci su, almeno con se stessi.
Così, seguì un momento di silenzio fra i due amici seduti nell’angolo fresco del Bar Centrale. Ognuno dei due si dette il tempo per una rapida rievocazione mentale di quella malattia messa in giro con tanta cattiveria e, come sentendo il campanello che annuncia, durante la Messa, la fine dell’Elevazione, entrambi a un certo punto si riebbero scrollando il capo all’identica maniera.
Fu in quel momento che entrarono nel locale due signorine molto disinvolte e sicure dei loro movimenti. Gli sguardi furtivi su di loro si sprecarono in ogni angolo del bar. Attraevano, eccome, ma era meglio non fermarsi a parlare con loro, tutti quei padri di famiglia…
Anche Beniamino e Augusto fecero più o meno la stessa cosa, cercarono cioè di evitare di incrociare gli sguardi sempre un po’ ammiccanti delle due donne, che tutti in città conoscevano come intrattenitrici del bordello di Via del Sandalo. Quelle due donne, di fatto, tenevano in scacco mezza città, quella maschile, di cui conoscevano sicuramente più i vizi che le virtù.
Quando sedettero al tavolo vicino a Beniamino e Augusto, si sentirono più tranquille anche loro e cominciarono a parlare con grande disinvoltura. Augusto, senza origliare, ci capì che una, in particolare, diceva di essere molto addolorata per la morte di quell’Ersilia accompagnata al cimitero il giorno prima. Non le era amica – diceva – non la conosceva; “figurati” – spiegava – “una come lei, un’infermiera della Croce Bianca, cosa poteva avere in comune con me, che curo ben altri malanni degli uomini!”
Però raccontava di essere stata molto colpita dalle dicerie sulla donna, l’avevano accusata di essere morta niente meno che di mal francese, che si sarebbe presa l’infezione cedendo a un ufficiale che dal fronte aveva riportato, oltre alle pallottole in corpo, quel grazioso dono sessuale certo non dovuto ai crucchi austriaci. “Non ci credo, non ci credo” – protestava – “quando stanno all’Ospedale Militare, i bollenti spiriti a quei maschi soldatini si passano di botto. Me ne intendo, io”.
Si era accalorata, aveva alzato il tono della voce, tanto che, oltre ad Augusto, le sue parole arrivarono anche a Beniamino, il candido benpensante Beniamino.
Augusto lo vide avvampare in volto, alzarsi di scatto cercando di contenere l’ansia, andarsene velocemente dal locale dopo un saluto fugace e stranissimo.
“Altro che Ospedale Militare, sono quei porci imboscati che stanno fuori a farti certi regalini” – acconsentiva con trasporto la seconda signorina – “gente che poi, magari, è protetta da altri porci peggio di loro, questi squadristi, per esempio, che le danno a tutti. Io, quando capitano da noi, un po’ di paura ce l’ho, perché sono violenti, e poi non ci riesci mica a ricattarli…”
Augusto era rimasto solo, inebetito. Non ce la fece nemmeno a guardare in direzione delle donne quando si alzò per uscire. Né loro si soffermarono più di tanto su di lui. Continuavano a fare quel discorso, che le sdegnava tanto, e lui era già arrivato in strada.
Si confuse col passeggio di mezzogiorno e solo allora tornò col pensiero al comportamento di Beniamino. E Beniamino era là, in fondo al Corso, in un crocchio di squadristi, giovani con le camicie nere e i capelli svolazzanti sul ciuffo trasandato. Brandivano i manganelli. Quando gli passò accanto – Beniamino nemmeno lo riconobbe – sentì che dicevano: “Dobbiamo darne quattro al padre, allora?”
Augusto ebbe paura: la povera Ersilia aveva lasciato un vecchio genitore che, si diceva, voleva andare fino in fondo ai fatti per capire cos’era successo a sua figlia, se veramente era morta di sifilide e chi gliel’aveva attaccata.
Possibile – si chiese Augusto – che Beniamino, quel vecchio baciapile che aveva trovato il modo di scansare il fronte, c’entrasse davvero con tutto il mistero dell’Ersilia? Povera Ersilia, forse davvero era morta di un’infezione grave e ignominiosa, lei che era un fiore di purezza, e a contagiarla era stato un benpensante come Beniamino, magari lo stesso suo amico Beniamino?
Passarono alcuni giorni e una mattina, in un vicolo, il vecchio Santi, padre di Ersilia, fu trovato agonizzante, bastonato con violenza inaudita. Beniamino ricomparve qualche settimana dopo. Al bar non veniva più, passava il più del suo tempo al bordello. Per lui, lì, era tutto gratis e le due signorine che aveva incontrato al bar da tempo erano state trasferite in un’altra città, un po’ ammaccate perché andandosene erano cadute accidentalmente per le scale.