DIS…CORSIVO. COMUNI PENSIERI SULL’UMBRIA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / All’inizio, era un’Umbria smisurata, formata da una sola Provincia, mentre nelle Marche se ne erano fatte quattro. E su quella macroregione – per l’Ottocento era tale – la storiografia successiva,

specie l'attuale, ha sempre storto il naso, sostenendo che era posticcia. Salvo poi scoprire che la classe politica che ha diretto il territorio umbro fino agli Anni Venti del secolo scorso, anche se non proprio “illuminata”, un percorso di crescita del territorio lo ha favorito.
L'Umbria delle due Province, infine - considerato il fascismo responsabile perlopiù dello smembramento del territorio che del suo sviluppo - ha formato una misura della Regione che ha finito per accontentare tutti. Si dice che siamo piccoli, che possono divorarci, ma intanto quest'aurea mediocritas provinciale, o finta tale, ha fatto la fortuna dell'Umbria della Regione, fino alla rottamazione delle due Province.
Così, adesso, rimangono rapporti diretti fra la Regione e i 92 Comuni. Se anche le Province residue usciranno dal tunnel nella maniera meno malconcia possibile, non avranno mai più un peso politico, un significato culturale. L'Associazione dei Comuni - l'Anci - non può che ritrovarsi su obiettivi minimi, sembra che stia sempre lì da protagonista, ma s'avverte che ci sta in funzione notarile, solo attenta a non rompere gli equilibri fra le diverse maggioranze comunali.
Le nostre Unioni dei Comuni, poi, sono il fanalino di coda umbro a livello nazionale: siamo ancora all'Unione “Terre dell'olio e del sagratino”, costituita in data 29 settembre 2001 tra Bevagna, Campello sul Clitunno, Castel Ritaldi, Giano dell'Umbria, Gualdo Cattaneo, Massa Martana, Montefalco e Trevi.
Questo è il quadro delle reti istituzionali e dei legami aggregativi dei Comuni umbri. Un po' poco, messo lì tanto per formulare un comune, banale pensiero sull'Umbria e non un dignitoso, condiviso, comune progetto di tessitura efficace del territorio regionale di domani.
Vuoi vedere invece che, mi chiedo, ponendosi fino in fondo la questione della trasversalità delle autonomie locali non si riesca a uscire dalla strozzatura, di comodo, di un'Umbria piccola e non più identificabile in un colore?
A chi fa comodo e a che serve mantenere rapporti così allentati, senza nessun autentico patto gestionale e nessun rafforzamento culturale, fra i 92 comuni della Regione? Sarà, invece, il superamento di questo stallo uno dei punti avanzati della progettualità futura dei nuovi assetti politici di Palazzo Donini e di Palazzo Cesaroni?
A mio giudizio, la partita dovrebbe ricominciare proprio da qui e, sulla spinta di un qualche decisivo cambiamento di ruolo del protagonismo dei Comuni, procedere verso aggregazioni territoriali dell' intera Umbria più ampie dell'attuale, proprio per battere sul tempo eventuali, improvvise fiammate riformatrici dell'ordinamento regionale.
La vecchia Provincia dell'Umbria, da tutti molto vituperata spesso a torto, potrebbe rivelarsi una carta importante sul tavolo della partita del regionalismo di domani.
Già se ne è parlato, specie fra il 2011 nel 2012, quando la riforma delle Province sembrava dovesse prendere la via degli accorpamenti: oggi come allora, anche se eravamo in pochi a pensarla così, penso che l'Umbria di un futuro non lontano avrebbe molti interessi a riunificarsi, ampliandosi, con la Provincia di Rieti, nella cui casa gli orientamenti popolari verso un tale disegno non erano e non sono ostili, a fronte di mercanteggiamenti e tornaconto politici locali tutti da superare.
Ma quest'Umbria solo un po' più grande che addito e che avrebbe una sua valenza strategica, oltre che un minimo di tradizione, potrà avere un senso solo se diventa un moto e una spinta che sale dai Comuni, che li coinvolge dentro e oltre, molto oltre, le loro attuali forme di aggregazione istituzionale. Soprattutto se non trova ostacoli nei due Palazzi regionali e nei maîtres à penser - storici ed economisti, giuristi e sociologi - che servono culturalmente le rispettive cause istituzionali.

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