Dis…corsivo. Liberale
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Dei tre palazzi pubblici di piazza d’Italia, è quello che, di fatto, non ha un nome. Ci sono un palazzo Donini e un palazzo Cesaroni, ma non c’è, non può esserci, un palazzo Arienti per denominare – dal nome dell’architetto che l’ha progettato – il grande parallelepipedo della Provincia di Perugia.
Mentre, poi, palazzo Donini e palazzo Cesaroni non sono nati come palazzi pubblici, ma lo sono diventati e oggi lo sono per antonomasia, quello che era nato come palazzo pubblico della nuova Italia, che doveva essere solo secondo a palazzo dei Priori, oggi di pubblico non ha più pressoché niente, ospita un ente frantumato, è il regno della dimenticanza, il castello di un principe detronizzato, il maniero triste del Risorgimento umbro.
Come si può continuare a chiamare coerentemente “palazzo pubblico” un edificio che ospita il “consiglio di amministrazione” della nuova Provincia ed è, di fatto, l’ufficio di rappresentanza e di residenza del Signor Prefetto (si intende la carica, non la persona, femminile, che in questo momento occupa l’ala non provinciale del palazzo)?
Di bello c’è che questo palazzo continua a essere il fedele testimone dell’austera tradizione risorgimentale: soffre ma non si lamenta, si duole per l’indifferenza che gli viene riservata ma osserva un dignitoso silenzio. Attende, però, solo, che qualcuno, l’opinione pubblica o la politica, si facciano un problema della sua esistenza.
Quando accadrà? Quando il Comune di Perugia e la Regione dell’Umbria avvertiranno il pericolo di isolamento non solo della Provincia di Perugia ma anche del suo storico palazzo? Quando la Provincia stessa rivendicherà la dignità della sua residenza e proporrà una rosa di opzioni che, magari, rendano meno evidente il ruolo pubblico del palazzo e, invece, tornino a esaltarne le fattezze interne museali, la disponibilità ad essere un vanto estetico della città di Perugia, la profonda unità di sale e di corridoi che attraversa le distinte, separate sedi provinciale e prefettizia?
Si può anche concedere – e nessuno più di me è disposto a farlo – che la trattativa fra Regione e Provincia di Perugia ha, ancora, ben altre priorità che la sorte del palazzo di residenza della Provincia, dell’ente, cioè, di area vasta di Piazza d’Italia.
Ma il problema del riuso del palazzo progettato da Alessandro Arienti non tarderà molto a proporsi. Se un palazzo patrizio settecentesco è potuto diventare la sede della Giunta regionale e l’edificio del Palace Hotel, l’albergo della Belle Époque perugina, è degno dell’Assemblea legislativa umbra, come e perché non potrebbe, quello che era il solo palazzo pubblico della piazza post unitaria, trasformarsi in un grande museo dell’Ottocento umbro e ospitare, come valore aggiunto, mostre temporanee di formidabile valore internazionale, tanto al piano nobile quanto nel sottostante Centro espositivo della Rocca Paolina, che patrimonialmente è un tutt’uno con esso?
Una forte visione riformatrice e progettuale non dovrebbe arrestarsi, a mio parere di fronte alle inevitabili necessità di rimodulare gli spazi a disposizione del “consiglio di amministrazione” provinciale e della residenza privata del Signor Prefetto. Come, infatti, non c’è nessun disegno iconoclasta nei confronti delle autorità, così mi auguro che non ci sia nessun tentativo di sminuire la portata progettuale di questa mia semplice proposta.
L’idea è seria e ragionevole, ponderata e rispettosa. È una vecchia idea liberale, liberale ottocentesca, liberale prepartitica, liberale tessuto d’amore autentico per quel palazzo, liberale radice di un sogno museale a suo tempo irrealizzato, liberare ritorno di un concetto esteso di “pubblico”, dove “pubblico” è politica e arte insieme, patrimonio e cultura, storia e futuro, disinteresse personale e interesse collettivo, sistema di parti virtuose che sanno rimodellarsi se il quadro d’insieme finisce e una nuova tela si conquista la luce di Piazza d’Italia dalle finestre semichiuse di quel palazzo provinciale.