Dis….corsivo. L’Italia dei castelli

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Dalla fine del feudalesimo, il cruccio pigro della nobiltà è sempre stato quello di riuscire a entrare in un’orbita di produzione del reddito senza troppo angustiarsi in occupazioni troppo imparentate col concetto di lavoro. Finiti i diritti feudali e rimasta la necessità di non mandare in malora un patrimonio di vecchie residenze come i castelli, con quella mentalità di pigro cruccio di cui sopra, vassalli, valvassori e valvassini di un tempo che fu hanno dato vita, nel tempo, alle più varie soluzioni operative e commerciali.
Ai giorni nostri, sono finiti nella rete della tassazione sulla prima casa. Ne erano sfuggiti, sono stati ripresi, non si sa quale sarà la loro fine a legge definitivamente approvata. Ci sono castelli, infatti, che sono diventati dei veri relais di lusso e in genere assomigliano non tanto al castello ristretto del signorotto, ma al borgo cittadino al quale riusi e ampliamenti vari hanno dato vita nel corso dei secoli.
Ci sono poi, invece, una miriade di castelli ancora infeudati, cioè rimasti nella forma e nella disponibilità del nobile di oggi discendente diretto degli antichi proprietari, nei quali è stata perseguita una lodevole attività di messa a disposizione per attività di varia cultura: per rendere gustabili le loro residenze e per mantenere il maniero, i signori hanno dovuto lavorare altrove
La tassazione sulla prima casa ci ha fatto scoprire, in realtà e secondo le diverse casistiche alle quali ho accennato, che esiste un’Italia dei castelli che non sono il Castello di Aimone di Challant, o di Fenis, e neppure quello di Castel del Monte, ma più marginali esempi di conservazione di torri e castelli che costa più di quello che rende, secondo la rinnovata atmosfera da fine del feudalesimo che aleggia su di essi.
Appare evidente che una borghesia illuminata, un governo saggio e amministrazioni locali previdenti dovrebbero oggi essere nelle condizioni di non fare di tutta l’erba un fascio e capire, per lo meno, perché alcuni castelli sono diventati luccicanti mete per le vacanze e altri sconnesse dimore di arduo mantenimento, sulle quali la tassazione sulla prima casa inciderà pesantemente.
Il feudalesimo di ritorno che oggi viviamo va aiutato, in qualche modo, a uscire dalle sue difficoltà, poiché spesso avviene, vi sono molte testimonianze in merito, che rimane penalizzato dalla tassazione il nobile proprietario che ce l’ha messa tutta per rendere agibile il suo castello ma non riesce nell’impresa.
Quella dei castelli è una questione da beni culturali, da regime fiscale e da marketing territoriale stretto stretto, non l’oggetto del patteggiamento mediatico con l’opinione pubblica al quale abbiamo assistito: che cosa c’è, per un governo, di più odioso e elettoralmente sfavorevole del sembrare stare dalla parte della nobiltà infeudata?
La partita della tassazione, in ogni caso, sta volgendo al termine, ma qualche misura più illuminata verso questo patrimonio di antichi fortilizi va presa, altrimenti a impoverirsi per la rovina dell’Italia dei castelli sarà tutta la Nazione e le leggi saranno anch’esse solo castelli e fastelli di carta.

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