Dis…corsivo. Anche a Città della Pieve sono un po’ Turchi?
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Con il loro sonno, gli etruschi disseppelliti a Città della Pieve, hanno attraversato i millenni. Forse non avranno raggiunto del tutto quell’aldilà nel quale credevano, lontano e imperscrutabile, forse il loro viaggio è stato interrotto proprio dal nostro ritrovamento. Sta di fatto, però, che qualunque sia il punto del loro viaggio ultraterreno al quale, qui da noi, sono arrivati, essi hanno portato a noi, che li abbiamo disseppelliti, una premonizione, una predizione, una preveggenza, un auspicio, un augurio che sa di millenni e che si porta dietro, e dentro, anche la possibilità di leggere qualcosa del nostro futuro.
Possiamo prendere la cosa per celia o con una maggiore serietà, anzi anche con la massima serietà, in ogni caso col massimo rispetto per vite umane che si consegnano alla nostra conoscenza e alla nostra indagine storico-scientifica.
Il problema rimane quello – risultati scientifici a parte, che auguriamo intelligenti e lungimiranti – del mistero che i reperti, le ossa, le ceneri il materiale policromo al quale è stata fatta rivedere la luce portano nella nostra realtà, con la quale stanno entrando in diretto contatto.
E quel mistero non lo recano certo per fini squisitamente turistici, né perché mossi da un fulcro di interesse culturale. Lo fanno, invece, portandosi addosso ciò che possono aver raccolto volando nell’universo siderale della morte che hanno attraversato e che ha avuto una tappa, una sosta, qui da noi.
E se fosse davvero questo l’eterno che ci aspetta, già qui su questa terra, sotto lo stesso sole che si è chiuso sugli occhi e si riapre sulle nostre ossa, sulle ossa di qualcuno di noi, millenni dopo la morte, se la Terra resiste?
La ricomparsa degli etruschi di Città della Pieve potrebbe essere vista da qualcuno in questa maniera. Altri – che non siano gli addetti ai lavori, gli archeologi o i musealizzatori – potrebbero vederla diversamente.
E allora, per costoro, questi etruschi, sarebbero lì ad asseverare, dalle loro pose sepolcrali, che l’Umbria di oggi è in qualche modo Etruria più che Umbria, per lo meno nell’area del Trasimeno-Pievese. E così starebbero, forse, a ricordarci che la nostra storia, la storia della nostra gente, è, anche se lontanamente imparentata, quanto a Dna, con antiche e moderne popolazioni della Turchia: altro che purezza etnica da difendere da barbari invasori!
Sappiamo, infatti, che i riscontri effettuati sul Dna degli etruschi per eccellenza abitanti della città di Murlo, in provincia di Siena, e la comparazione con le caratteristiche genetiche degli abitanti della Turchia offrono fortissime affinità. Sappiamo anche che i mediatori di queste affinità sono stati proprio gli etruschi.
Domanda: questa affinità ci sarà anche con i simpatici e carissimi abitanti di Città della Pieve? Anche a Città della Pieve, insomma, sono un po’ Turchi?
In attesa che ci dica qualcosa di più la Banca dati del Dna etrusco detenuta dall’Università di Pavia, ecco che la predizione, scritta nel sangue di questi uomini disseppelliti a Città della Pieve, in qualche modo è arrivata di nuovo fino a noi. E ci dice, quasi assecondando il gioco che sta facendo il presidente della Toscana Rossi, che l’Umbria in fondo un pezzo di Etruria lo è e che quindi l’unione con Etruria e con la Toscana sarebbe da salutare se non altro in nome di questi personaggi così dignitosi che sono tornati alla luce sotto i nostri occhi, al confine tra l’Umbria e la Toscana.
Tutto corretto, tutto regolare, purché, oltre la Banca dati del Dna etrusco, non entri in gioco anche la Banca dell’Etruria, dalla quale sicuramente i dignitosi progenitori tornati alla luce a Città della Pieve si saranno già scaramanticamente e legittimamente dissociati.