A 50 anni dai carri armati sovietici a Praga
di Pierluigi Castellani
Sono trascorsi 50 anni da quando il 20-21 agosto del 1968 i carri armatici sovietici invasero Praga e posero fine a quella che fu chiamata la primavera di Praga e cioè a quel tentativo, generoso quanto illusorio, di Alexander Dubcek, leader del partito comunista cecoslovacco, di dare vita ad un processo di conciliazione del comunismo con la democrazia e con il rispetto dei diritti civili. Quella data dirà poco a chi è nato dopo il 68 e può magari ricordare solo la caduta del muro di Berlino del 1989, ma è importante ravvivare quei fatti alla nostra memoria perché è proprio dal soffocamento della primavera di Praga ,che ha inizio il crollo di quello che veniva chiamato l’impero sovietico e che riuniva sotto il ferreo patto di Varsavia tutti i paesi satelliti dell’allora URSS. Ancora prima nel 1956 c’erano stati i fatti di Budapest ove anche in quel caso i carri armati sovietici soffocarono la rivolta popolare, ma è solo nel 1968 con la fine dell’esperienza di Dubcek che si rivelano quelle profonde fratture nel panorama dei partiti comunisti europei e che portarono al progressivo distacco dei partiti comunisti occidentali dall’Unione Sovietica.
Solo allora ad esempio il PCI prese definitivamente le distanze dal comunismo russo, rimasto comunque totalitario ed intollerante anche dopo la morte di Stalin. Basti ricordare che lo stesso Giorgio Napolitano, come ha confessato nella sua autobiografia, non capì la portata devastante dell’invasione russa in Ungheria mentre prese nettamente le distanze dall’operazione avvenuta nel 1968 con l’allontanamento di Dubcek. Del resto la primavera di Praga fu l’ultimo tentativo, appunto illusorio, di poter umanizzare e democratizzare una prassi totalitaria che aveva fatto del partito comunista lo stato e lo stato espressione ed emanazione diretta del partito comunista. Da allora è iniziato l’eurocomunismo di Enrico Berlinguer e via via la scoperta che la conciliazione tra socialismo e democrazia può avvenire solo nel rispetto dei principi di libertà e di tutti quei valori a cui ha dato vita la civiltà occidentale. Quei fatti ebbero un enorme risonanza nei media di tutto il mondo. I giovani che si opponevano ai carri armati, la protesta di Jan Palach, giovane studente, che si dette fuoco sulla Piazza San Venceslao, luogo simbolo di Praga anche dei giorni nostri, furono immagini che fecero il giro del mondo e segnarono definitivamente il declino del comunismo sovietico, trascinando con sé il ridimensionamento se non la scomparsa di molti partiti che a quella visione politica si riconducevano. E’ lì, nella Praga del 1968, che ebbe inizio il progressivo sfaldamento del blocco comunista con la nascita di quel movimento tellurico che condusse al definitivo abbandono del patto di Varsavia con la nascita di stati-nazione indipendenti dall’URSS e poi conclusivamente all’attuale assetto geopolitico della politica mondiale. Da allora, e questo è più importante per la riflessione odierna, è nata anche un’attenzione nuova per i meccanismi della vita democratica, che è sempre in movimento ed in adeguamento, contraddicendo in qualche modo la “Fine della Storia” di Francis Fukuyama, ma anche ogni storicismo distaccato dalla dimensione umana di ogni evento storico e dalle semplificazioni di scuola marxista tra struttura e sovrastruttura. Non è infatti lo schema semplicistico tra vecchio e nuovo che governa i cambiamenti, ma il rispetto che si deve alla dignità umana di ciascuno di noi ed alla somma di speranze e di valori nutriti di libertà, che ognuno di noi riesce a coltivare. A questo fine è utile ricordare una bella pagina di Vaclav Havel, che, non dimentichiamolo , fu il primo presidente di una Cecoslovacchia democratica. Havel scrive nel 1978, undici anni prima della caduta del muro di Berlino,:” Non è detto affatto,quindi, che l’introduzione di un sistema migliore garantisca automaticamente una vita migliore, anzi talvolta succede proprio il contrario; è solo con una vita migliore che si può costruire anche un sistema migliore”.