AL VOTO AL VOTO
di Pierluigi Castellani
La fissazione della data per il referendum al 4 dicembre ha infiammato la campagna referendaria da parte dei sostenitori del sì e del no. Lo stesso Renzi è venuto a Perugia per aprire la campagna per il sì in Umbria. Quello che colpisce è come spesso gli argomenti usati nel confronto politico siano sempre più ben lontani da un approfondimento sul merito della riforma. Da una parte c’è Salvini, che in un improvviso incontro con Berlusconi e la Meloni ha ritrovato un ‘intesa con gli altri partner del centrodestra, rilanciando il messaggio che votando no è il modo più sicuro per far cadere il governo Renzi ed ha aggiunto che il no è anche un sì per il presidenzialismo. Ma si guarda bene dall’avvertire gli elettori, che una prevalenza del no al voto del prossimo 4 dicembre nulla ha a che vedere con l’affermazione del presidenzialismo, che si potrà introdurre solo con una nuova riforma costituzionale, che è ben lontano dall’essere all’orizzonte. Ma tant’è ogni cosa è buona per confondere le acque del confronto in atto, che , almeno sul fronte del no, appare un coacervo di opposti intendimenti da far pensare ad una sorta di armata Brancaleone. E non me ne vogliano gli illustri costituzionalisti del no, che si affannano a prefigurare il pericolo di una deriva autoritaria con la riforma Boschi, senza apparentemente riflettere sul fatto che la riforma, sottoposta al giudizio degli elettori, nulla aggiunge e nulla toglie agli attuali poteri del capo del governo, come invece non faceva la riforma approvata dal centrodestra nel 2005, poi bocciata dagli elettori. Naturalmente nel fronte del no c’è anche chi vuole che tutto rimanga così com’è, con il bicameralismo paritario , perché concepisce la democrazia come una sorta di permanente assemblea , dando voce a tutti anche due e più volte, senza poi decidere nulla. A questi eminenti professori si dovrebbe consigliare di rileggere alcune pagine, non proprio belle , della storia dove si evidenzia che è proprio quello che vien chiamato il parlamentarismo, cioè un continuo inconcludente confronto, a preparare svolte autoritarie. La democrazia, come ricorda J. S. Mill, è discussione con decisione, perché se alla necessaria discussione non segue la decisione si prepara poi davvero la strada ad una svolta autoritaria. Quindi una sola camera che dà la fiducia al governo ed una chiara distinzione tra le materie di competenza della Camera dei Deputati rispetto a quelle di competenza di tutte e due le camere. E’ così in tutte le parti del mondo e non si comprende perché l’Italia non debba allinearsi almeno all’Europa. C’è un’ultima questione insorta in questi ultimi giorni che lascia veramente perplessi. Il capo del governo si è avventurato a dire una cosa talmente lapalissiana, che lascia interdetti rispetto alle reazioni che si sono avute all’interno del suo partito. Renzi infatti ha detto che il sì per vincere ha bisogno anche dei voti della destra, di quella destra che in un primo momento aveva dato il suo assenso in parlamento alla riforma. Subito i rappresentanti della minoranza del PD, Speranza, Cuperlo e Gotor hanno gridato allo scandalo, accusando Renzi di voler cambiare natura al PD, rinnegando la sua connotazione di partito della sinistra. Questa accusa ha veramente del paradossale. Infatti se, come dicono i sondaggi, solo l’80 % degli elettori del PD è propenso a votare sì, si vorrebbe sapere come si può raggiungere il 51 % senza l’apporto di elettori provenienti da altri schieramenti. Ma l’accusa non è solo paradossale, ma ha anche del tendenzioso e dello strumentale. Perchè chi si scandalizza perchè nei favorevoli al sì possano contarsi dei voti provenienti da destra, non si straccia mica le vesti per il fatto che, oramai è assodato, nel fronte del no saranno arruolati i voti provenienti da F.I., Lega , Fdi, Anpi, Cgil ( si spera non tutti) ,5Stelle e, come sembra, anche di Casa Pound. Sembrerebbe che in quest’ultimo caso tutto è buono purché si raggiunga lo scopo di azzoppare una riforma importante e lo stesso governo Renzi. Dispiace veramente che la campagna referendaria si sia avviata con questi toni, mentre il saggio monito di guardare al merito sembra sempre più inascoltato.