FILIPPO MICHELI PROTAGONISTA
di Mario Roik/ I precedenti medaglioni dedicati ai personaggi che hanno operato in quel periodo, portano a considerare gli anni ’60 e ’70 come la Golden Age dell’Umbria. S’interruppe il fenomeno della diminuzione progressiva della popolazione, si modificò la struttura agricola anche con l’abbandono della mezzadria, si creò un tessuto di piccole e medie imprese industriali di grande rilevanza sul piano occupazionale, cominciò il lento recupero dei centri storici minori, l’Università, fino ad allora un piccolo Ateneo, diventò medio-grande con l’apertura di facoltà umanistiche e scientifiche, la democrazia si sviluppò con il varo della Regione e con momenti di grande partecipazione. La Comunità umbra si mosse in sostanziale sintonia nonostante permanesse lo scontro ideologico del dopo guerra. Si può dire che fu artefice del suo successo, guidata da Uomini di valore.
Tra essi occupa un posto importante Filippo Micheli.
Era nato a Montefranco, in provincia di Terni nel 1911 e visse fino al 1996, attivissimo fino all’ultimo, se consideriamo che due anni prima fu l’artefice, insieme ad Alberto Provantini, della prima alleanza tra Popolari e PDS (che portò all’elezione di Nicola Molè a Presidente della Provincia ternana). Si formò nell’Azione cattolica, partecipò alla Resistenza come uno dei Capi riconosciuti a fianco di socialisti, di repubblicani e di comunisti; dopo una iniziale adesione al movimento dei Cristiani sociali, entrò nella Democrazia cristiana, della quale diventò leader indiscusso, dapprima a Terni, quindi nell’intera circoscrizione umbro-sabina. Diventò Deputato nel 1948 e rimase in Parlamento fino al 1994. Per quindici anni ricoprì incarichi di governo.
In questo breve scritto, di necessità dobbiamo concentrare l’attenzione soltanto su alcuni punti, dai quali si potrebbero trarre spunti interessanti per l’agire di oggi: il servizio alla gente e al bene comune; la spasmodica attenzione ai problemi dell’economia regionale e ai suoi nodi strutturali, più che agli aspetti congiunturali; la ricerca continua di punti di convergenza tra le forze politiche sulle soluzioni da dare ai problemi della arretratezza e dello sviluppo economico, con lo sbocco rappresentato dal famoso Piano regionale del 1962.
Il contatto con la gente, anzi la vita politica in mezzo alla gente, è un elemento costitutivo di Filippo Micheli. Partecipava a tutti gli incontri organizzati da Enti, da Associazioni e dal suo Partito, ricavandone stimoli costruttivi. Inoltre, viaggiava nel territorio in modo singolare, spesso accompagnato dalla figlia Maria Grazia (futura sposa del consigliere regionale Sandro Boccini) che così racconta: “Papà si spostava senza un programma preciso” ..finendo per fermarsi in un Bar, in un Circolo, in una Canonica, in un Convento, ovunque istaurando un rapporto umano. Raccoglieva richieste, conosceva nuovi problemi, dava il suo apporto per la soluzione delle questioni dei singoli e delle comunità locali. Fu criticato, come generatore di clientele, ma si sottovalutò la sua capacità di accorciare la distanza tra la politica e il popolo.
Micheli è stato senz’altro l’Uomo che, più di tutti, si è calato nelle problematiche economiche del suo tempo, con una capacità straordinaria di guardare molto avanti. Lo troviamo inizialmente impegnato a salvaguardare il polo industriale ternano, combattivo nell’opporsi alla chiusura del polo siderurgico, allo stesso tempo capace di indicare a Sindacati e a Impresa, una strada innovativa consistente nella riconversione industriale. Quindi porta l’attenzione sui nodi strutturali dell’economia regionale, dapprima con un approccio settoriale, quindi abbracciando l’idea della programmazione plurisettoriale, che coglie e valorizza le connessioni tra settori e i territori e le proietta nel futuro.
Non sfugge il valore politico dell’iniziativa. Non c’è ancora la Regione, i territori sono divisi, sullo sviluppo le idee dei partiti, degli imprenditori e dei sindacati sono molto diverse. Micheli, avvalendosi del suo ruolo governativo nel Ministero dell’Industria, agricoltura e artigianato, organizza e presiede un tavolo istituzionale, nel quale si ritrovano tutti.
In questa circostanza, il Sottosegretario rischiò moltissimo su due fronti. Da un lato apriva alle sinistre, in mezzo a qualche mugugno. Inoltre sfidava i conservatori interni alla DC. Scrive Mario Santi: “Egli, che per formazione si collocava entro le correnti di centro della DC, non esitò a far proprie le istanze per la programmazione che a Perugia venivano proposte dai gruppi di sinistra della DC”. Anche il PCI rischiò, abbandonando le posizioni di preconcetta ostilità verso le iniziative governative, scommettendo sulla onestà e buona fede di Micheli.