Genesi ed ascesa del populismo

Il recente libro di Marco Revelli “Turbopopulismo”, edito da Solferino, offre una penetrante analisi della nascita e del diffondersi del fenomeno populista in Italia e nel mondo. Il libro, nato dalla collaborazione con Luca Telese in funzione di intervistatore, parte dall’analisi del mutamento del rapporto intercorso tra il popolo e le tradizionali forze politiche, che lo interpretavano. Per questo Revelli si diffonde nello scrutare come il popolo da centralità dell’attenzione politica si ritrova ai margini e diventa un insieme di “forgotten man”, cioè di dimenticati senza rappresentanza, che trova la sua espressione in quella che il sociologo piemontese chiama “ la rivolta dei margini”, cioè di quel pezzo di popolo, che ,ritrovandosi non rappresentato e dimenticato, si sente svincolato da vincoli sociali e comunitari  e può anche esplodere , come avvenuto in Francia con la rivolta dei “gilet gialli”, in clamorose  manifestazioni di protesta.

Tutto questo sarebbe avvenuto, secondo la tesi di Revelli, perché il distacco dei partiti di sinistra dal loro tradizionale riferimento con il mondo del lavoro ha spinto quel mondo a cercare altre rappresentanze  in una sorta di “liberi tutti”, svincolandosi dagli antichi legami  comunitari e di solidarietà finendo per cercare anche nemici tra gli ultimi e gli esclusi, come gli immigrati. Invece nel passato le forze politiche di sinistra esercitavano una sorta di frenante egemonia culturale, che attraverso  una “potentissima pedagogia di massa – talvolta persino occhiuta – educava alla tolleranza e all’accoglienza, quanto meno tra socialmente appartenenti a quella cosa che si chiamava popolo”. Questo spiegherebbe anche perché quel pezzo di popolo, una volta sentitosi libero e senza gabbie ideologiche, si sia rivolto a leader apertamente populisti, trasformatisi, secondo la definizione di Revelli, in “élite negative”. Infatti nel tentativo di immedesimarsi nel popolo ne assumono anche i comportamenti ritenuti negativi rispetto a ciò che approssimativamente potremmo definire il politicamente corretto. Si pensi al linguaggio dei “vaffa”, all’esporsi, anche iperbolicamente, al consumo del “ peggio che compone la dieta quotidiana della parte più popolare del popolo mangiante”, si pensi al Salvini foodblogger o a Trump ed alla sua preferenza per il junk food. Ma anche nei comportamenti questo tentativo di immedesimazione è evidente, si pensi ancora a Salvini con il mojito che balla a torso nudo al Papeete. Ma la verità, dice il sociologo piemontese, è che si tratta di populisti senza popolo perché “sono costretti a inventarsi, con un immane sforzo narrativo….un popolo, diciamolo, che non c’è”. In questo senso il popolo dei populisti è creato dagli stessi leader populisti essendo la società di oggi ” una miriade di frammenti atomizzati e competitivi”. Da ciò si spiega il tentativo del populismo di tenere insieme, sposandolo, anche quanto la società ha di contrastante e di inconciliabile. Tanto è vero che spesso l’avventura populista si spegne quando i populisti salgono al governo, rivelando anche che ogni tipo di questa avventura ha una deriva di destra se non propriamente autoritaria. Questa penetrante analisi sembra però non così acuta quando Marco Revelli cerca di definire i motivi della perdita di consenso dei partiti di sinistra. C’è certamente il distacco dal proprio retroterra sociale e culturale quando la sinistra non riesce a rappresentare e tutelare chi è ai margini, ma è certamente troppo sbrigativo sottolineare che Renzi “prende una sinistra già in coma e le stacca la spina completando l’opera” ed aggiungere, in modo ingeneroso, che ”Zingaretti talvolta mi sembra uno che è finito sotto un tir”. Questa liquidatoria e rinunciataria spiegazione delle difficoltà in cui oggi si trova il centrosinistra non aiuta a comprendere il problema che ha il fronte progressista italiano. Se il tradizionale elettorato di riferimento della sinistra si è rivolto ad altre forze politiche questo è dovuto a ragioni ben più articolate e complesse, che non riguardano solo l’esperienza italiana. Basti pensare che l’operaio sindacalizzato, elettore della Lega, non chiede a Salvini, che ha ben compreso, di riformare il jobs act bensì di correggere la legge Fornero con l’introduzione della quota cento, che, non può essere negato, ha pur sempre i connotati di una misura di tipo assistenziale e con tratti di pura difesa corporativa. Resta comunque il problema di come la sinistra, ed in particolare il PD, possa recuperare quei consensi cercando certamente di rispondere alle immediate emergenze ( lavoro, lotta alle diseguaglianze , giustizia sociale  ) ma anche di offrire prospettive e speranze per il futuro.

                                                                                                                             P.C.

Marco Revelli, con Luca Talese: “Turbopopulismo, la rivolta dei margini, sfide democratiche” . Solferino, Milano 2019.