Il Pd alla prova
di Pierluigi Castellani
In questi giorni si parla molto del Pd e di come si dovrebbe riorganizzare l’area del centrosinistra per contrastare il populismo della destra di Salvini e Meloni a cui si aggrega non molto coerentemente anche FI pur aderente al PPE . Questa nuova destra ha infatti caratteristiche euroscettiche se non proprio antieuropee e certamente non bastano le assicurazioni di un Berlusconi oramai al tramonto. Ma il tema che sembra far molto discutere è proprio il ruolo che dovrebbe avere il Pd nello schieramento antisovranista e quale identità dovrebbe assumere il partito fondato da Veltroni nel nuovo contesto politico in cui si trova ora il nostro paese. Nicola Zingaretti sottolinea con insistenza la necessità che il Pd sia un partito aperto ed inclusivo, che sappia aprirsi a quanto di nuovo emerge nella società a cominciare dal fenomeno delle sardine. Ma nonostante l’annunciato nuovo congresso, che dovrebbe delineare i contorni del partito nuovo e l’insistenza con cui si sottolinea la necessità di costruire il nuovo campo progressista cercando di coinvolgere anche il riluttante Movimento dei 5Stelle, non sembra che si siano fatti passi avanti su questa auspicata direzione.
Credo che il Pd debba innanzi tutto chiarire quale sia la propria identità, quali i valori e le risposte da dare ai problemi del paese, che rimane diviso in due, tra Nord e Sud e tra città e periferie, come ha dimostrato anche il recente risultato delle elezioni in Emilia Romagna con le grandi città, Bologna, Modena e Reggio Emilia, decisamente a favore di Bonaccini, mentre il resto della regione è rimasto appannaggio della Lega. Il Pd deve anche fare i conti con la sua ispirazione primaria, quella per cui è stato fondato. E’ possibile conciliare i valori della liberaldemocrazia con quelli della tradizionale sinistra? Non a caso il partito veltroniano è stato ideato come un partito di centrosinistra ( senza trattino come voleva Arturo Parisi), pluralista e a vocazione maggioritaria, il che voleva dire avere l’ambizione non di rappresentare una sola classe secondo lo schema veteromarxista, bensì di dare risposte alle speranze ed alle ansie della nuova stratificazione sociale nata con i nuovi mestieri e con le nuove dimensioni del lavoro. Credo che sia essenziale per il Pd nuovo, a cui pensa Zingaretti, riprendere quella sfida, consapevole che è possibile pensare agli ultimi, combattere le disuguaglianze sociali senza rincorrere il neostatalismo, che sembra ancora affascinare una parte consistente dei 5Stelle, o lasciarsi suggestionare da un laburismo alla Corbyn di cui abbiamo visto la fine che ha fatto in Gran Bretagna. Assumere tra i propri valori la giusta lotta alle ingiustizie e disuguaglianze sociali non implica necessariamente l’abbandono della tradizione liberaldemocratica in cui è cresciuta e si è affermata la democrazia occidentale. Questo comporta anche un approccio più serio ed avveduto rispetto a quanto ha significato l’ acritica accettazione della globalizzazione le cui distorsioni comunque non si combattono innalzando muri e barriere, ma con regole certe dei mercati internazionali, che possono essere raggiunte solo con un approccio multilaterale e di cooperazione internazionale dentro un’Europa giusta e rinnovata e non già nell’isolazionismo a cui sembra ora condannata la Gran Bretagna dopo la brexit nonostante tutte le enfatizzazione per un’era nuova, che il premier Johnson sparge a piene mani. E poi c’è un’altra questione e che riguarda direttamente l’Umbria. Non si può sbandierare ai quattro venti che il Pd deve essere un partito inclusivo e poi assistere acquiescenti a quanto sta avvenendo in Umbria. In Umbria a tutt’oggi il Pd non ha organi legittimati da una stagione congressuale , non ci sono luoghi dove i militanti possano liberamente confrontarsi, non si è creata un’occasione per esaminare e discutere della sconfitta elettorale dello scorso ottobre, si continua a non coinvolgere seriamente quanto al di fuori del Pd ruota comunque nell’area del centrosinistra, come sembra sia avvenuto per la scelta del candidato da opporre alla destra nelle elezioni suppletive per il collegio senatoriale lasciato libero dalla Tesei. E poi c’è da elIL PD ALLA PROVA
di Pierluigi Castellani
In questi giorni si parla molto del Pd e di come si dovrebbe riorganizzare l’area del centrosinistra per contrastare il populismo della destra di Salvini e Meloni a cui si aggrega non molto coerentemente anche FI pur aderente al PPE . Questa nuova destra ha infatti caratteristiche euroscettiche se non proprio antieuropee e certamente non bastano le assicurazioni di un Berlusconi oramai al tramonto. Ma il tema che sembra far molto discutere è proprio il ruolo che dovrebbe avere il Pd nello schieramento antisovranista e quale identità dovrebbe assumere il partito fondato da Veltroni nel nuovo contesto politico in cui si trova ora il nostro paese. Nicola Zingaretti sottolinea con insistenza la necessità che il Pd sia un partito aperto ed inclusivo, che sappia aprirsi a quanto di nuovo emerge nella società a cominciare dal fenomeno delle sardine. Ma nonostante l’annunciato nuovo congresso, che dovrebbe delineare i contorni del partito nuovo e l’insistenza con cui si sottolinea la necessità di costruire il nuovo campo progressista cercando di coinvolgere anche il riluttante Movimento dei 5Stelle, non sembra che si siano fatti passi avanti su questa auspicata direzione. Credo che il Pd debba innanzi tutto chiarire quale sia la propria identità, quali i valori e le risposte da dare ai problemi del paese, che rimane diviso in due, tra Nord e Sud e tra città e periferie, come ha dimostrato anche il recente risultato delle elezioni in Emilia Romagna con le grandi città, Bologna, Modena e Reggio Emilia, decisamente a favore di Bonaccini, mentre il resto della regione è rimasto appannaggio della Lega. Il Pd deve anche fare i conti con la sua ispirazione primaria, quella per cui è stato fondato. E’ possibile conciliare i valori della liberaldemocrazia con quelli della tradizionale sinistra? Non a caso il partito veltroniano è stato ideato come un partito di centrosinistra ( senza trattino come voleva Arturo Parisi), pluralista e a vocazione maggioritaria, il che voleva dire avere l’ambizione non di rappresentare una sola classe secondo lo schema veteromarxista, bensì di dare risposte alle speranze ed alle ansie della nuova stratificazione sociale nata con i nuovi mestieri e con le nuove dimensioni del lavoro. Credo che sia essenziale per il Pd nuovo, a cui pensa Zingaretti, riprendere quella sfida, consapevole che è possibile pensare agli ultimi, combattere le disuguaglianze sociali senza rincorrere il neostatalismo, che sembra ancora affascinare una parte consistente dei 5Stelle, o lasciarsi suggestionare da un laburismo alla Corbyn di cui abbiamo visto la fine che ha fatto in Gran Bretagna. Assumere tra i propri valori la giusta lotta alle ingiustizie e disuguaglianze sociali non implica necessariamente l’abbandono della tradizione liberaldemocratica in cui è cresciuta e si è affermata la democrazia occidentale. Questo comporta anche un approccio più serio ed avveduto rispetto a quanto ha significato l’ acritica accettazione della globalizzazione le cui distorsioni comunque non si combattono innalzando muri e barriere, ma con regole certe dei mercati internazionali, che possono essere raggiunte solo con un approccio multilaterale e di cooperazione internazionale dentro un’Europa giusta e rinnovata e non già nell’isolazionismo a cui sembra ora condannata la Gran Bretagna dopo la brexit nonostante tutte le enfatizzazione per un’era nuova, che il premier Johnson sparge a piene mani. E poi c’è un’altra questione e che riguarda direttamente l’Umbria. Non si può sbandierare ai quattro venti che il Pd deve essere un partito inclusivo e poi assistere acquiescenti a quanto sta avvenendo in Umbria. In Umbria a tutt’oggi il Pd non ha organi legittimati da una stagione congressuale , non ci sono luoghi dove i militanti possano liberamente confrontarsi, non si è creata un’occasione per esaminare e discutere della sconfitta elettorale dello scorso ottobre, si continua a non coinvolgere seriamente quanto al di fuori del Pd ruota comunque nell’area del centrosinistra, come sembra sia avvenuto per la scelta del candidato da opporre alla destra nelle elezioni suppletive per il collegio senatoriale lasciato libero dalla Tesei. E poi c’è da elaborare la necessaria piattaforma politica con cui affrontare i problemi dell’Umbria per opporsi credibilmente alla giunta regionale presieduta dalla Tesei. Anche l’opposizione la si può costruire seriamente con l’apporto di tutte le forze, che non amano ritrovarsi sotto l’ombrello sovranista. Anche per fare l’opposizione bisogna aver prima costruito una seria alternativa alla destra che governa la regione. Non ci si può opporre all’attuale governo regionale sporadicamente ed episodicamente, perché un partito serio, come credo sia ancora il Pd, deve dimostrare di avere una cultura di governo anche stando all’opposizione. Sono molte quindi le sfide a cui sono chiamati sia il Pd nazionale che quello umbro. Ci auguriamo che abbiano il coraggio di mettersi alla prova.
aborare la necessaria piattaforma politica con cui affrontare i problemi dell’Umbria per opporsi credibilmente alla giunta regionale presieduta dalla Tesei. Anche l’opposizione la si può costruire seriamente con l’apporto di tutte le forze, che non amano ritrovarsi sotto l’ombrello sovranista. Anche per fare l’opposizione bisogna aver prima costruito una seria alternativa alla destra che governa la regione. Non ci si può opporre all’attuale governo regionale sporadicamente ed episodicamente, perché un partito serio, come credo sia ancora il Pd, deve dimostrare di avere una cultura di governo anche stando all’opposizione. Sono molte quindi le sfide a cui sono chiamati sia il Pd nazionale che quello umbro. Ci auguriamo che abbiano il coraggio di mettersi alla prova.