La riforma costituzionale torna ad animare il dibattito politico
di Pierluigi Castellani
La riforma costituzionale, promossa dal governo Renzi, ha terminato il suo iter parlamentare. Perchè entri in vigore occorre il superamento di un ultimo passaggio, quello del referendum confermativo che si terrà il prossimo ottobre. Ma l’ultimo voto espresso a maggioranza dalla Camera dei Deputati ha riacceso le polemiche e rianimato il confronto politico. Le opposizioni sono uscite dall’aula denunciando un presunto attacco alla democrazia, dimenticando che, almeno una parte di esse, e cioè Forza Italia, aveva votato proprio quella riforma in una prima istanza, poi cambiando idea dopo la elezione del Presidente Mattarella. Tutto questo sta ancora una volta a dimostrare che le polemiche non partono dal merito delle questioni, bensì dall’occasione strumentale che se ne può cogliere, in questo caso un nuovo attacco al governo ed al premier in prima persona. Ha ragione ancora una volta Giorgio Napolitano quando nell’intervista concessa a Repubblica il 14 di questo mese afferma con chiarezza : “ Enfatizzazioni e estremizzazioni nei giudizi delle forze di opposizione ne ho viste tante e nessun partito è senza peccato. Stavolta però siamo giunti veramente al di là di ogni misura in particolare nei commenti all’approvazione della legge di riforma. Bisognerebbe stare seriamente al merito di quello che si è elaborato e votato a maggioranza e non lanciare allarmi per la libertà e la democrazia”. Infatti la riforma, che ha concluso il suo iter parlamentare, coglie alcuni obbiettivi sui quali ci si confronta da più di trent’anni. In primo luogo il superamento del bicameralismo paritario, che imbriglia nella cosiddetta navetta tutto il processo legislativo. Poi la creazione , con la riforma del Senato, della camera delle autonomie dando così efficace rappresentanza a regioni e comuni, la diminuzione del costo della politica con la soppressione del CNEL, delle province e la riduzione del numero dei parlamentari. Infine, ed è cosa non da poco, una chiara ripartizione di competenze tra Stato e Regioni con la eliminazione della legislazione concorrente, che ha intasato con i ricorsi i lavori della Corte Costituzionale. Insomma se si sta al merito è difficile non concordare con l’impianto di riforma che ne è venuto fuori, anche perché non è vero che vengono ridotte le garanzie che la Costituzione offre alle minoranze. Basta citare che per la elezione del Capo dello Stato viene elevato il quorum necessario e che , ad esempio, vengono facilitati i referendum abrogativi. Ma di tutto questo non si parla. Si continua a cavalcare la polemica contro il governo, perché alle opposizioni, con in testa i 5 Stelle e la Lega di Salvini, quello che interessa è mandare a casa Renzi. Del resto è pur vero che dall’esito del referendum Renzi fa dipendere il suo futuro politico, ma non tanto per personalizzare su di sé la battaglia referendaria, quanto invece per dare esempio di trasparenza e correttezza. Infatti un governo che , nato per fare le riforme , dovesse poi registrare che la madre di tutte le riforme, la costituzionale, viene bocciata dal corpo elettorale è naturale e coerente che questo governo si faccia da parte. Ma parlare del merito delle questioni deve anche far riflettere sullo scenario che verrebbe a crearsi se prevalessero i no al referendum di ottobre. Non solo l’Italia si troverebbe senza governo e con il probabile anticipo delle elezioni generali, ma tutto il paese avrebbe ancora davanti a sé anni di incertezza politica con il rimpallo delle leggi tra Camera e Senato, con una democrazia in affanno dove la regola sarebbero le maggioranze spurie, dove tutto verrebbe delegato al compromesso ed al consociativismo e dove nessuna maggioranza sarebbe capace di affrontare i veri problemi del paese. Il paese invece va assolutamente cambiato e modernizzato anche per non correre il rischio che ancora una volta l’agenda politica venga dettata da coloro che intendono soprattutto mantenersi il posto da parlamentare, seriamente messo in forse dalla trasformazione del Senato in camera delle autonomie dove siederebbero soltanto 100 rappresentanti di regioni e comuni e non 315 come ora. Quindi parlare del merito delle questioni è ancora una volta necessario se si vuole fare vera politica, quella con la P maiuscola, quella che guarda agli interessi generali del paese e non alle piccole carriere del ceto politico.