Le elezioni austriache e il destino della Socialdemocrazia europea
di Pierluigi Castellani
L’esito delle elezioni in Austria appare quasi del tutto scontato se si esamina quanto avvenuto di recente negli altri paesi europei. Il tema che ha dominato queste ultime elezioni, ma anche nelle precedenti, è quello dei migranti. Come ha potuto l’elettore austriaco, che vive in un paese con il 5,4% di disoccupazione, con un welfare con standard eccellenti e quindi in una società dove il benessere è largamente assicurato, voltare le spalle a quelle formazioni politiche che di questa buona situazione sociale sono state responsabili? Appunto l’unica risposta è quella che si sono data tutti gli osservatori più credibili: la paura di perdere tutto questo per colpa di un flusso di migranti apparentemente inarrestabile.
Forse ci sono state anche altre concause come la voglia di cambiamento, di sperimentare nuove formule politiche, l’attrazione per un giovane politico come Sebastian Kurz, leader del partito di centro, che ha spostato su posizioni decisamente di destra una forza politica affiliata al PPE. E’ certo che il ridimensionamento dei socialdemocratici ,che restano per un soffio il secondo partito, si tratta di pochi decimali, prima della formazione di estrema destra chiaramente xenofoba, è in linea con quanto accaduto in Germania e prima ancora in Francia, anche se in Germania le elezioni in Bassa Sassonia evidenziano una chiara risalita del partito di Martin Shulz. La verità è incontestabile, le ambiguità di un ‘Europa, che non sa affrontare con risoluzione e la necessaria solidarietà il tema dei migranti e che appare frenata nel suo sviluppo dalla politiche di austertity a tutti imposte, non solo mette in forse il futuro dell’UE ma fa pagare in termini di consensi proprio quelle forze politiche più decisamente europeiste come il PSE. Certamente la risposta non può essere quella di abbandonare la UE al suo destino, ma riformarla per renderla più vicina alla gente con politiche di sviluppo e di crescita e dimostrando che il fenomeno delle migrazioni può essere governato senza erigere muri, che poi la storia si incaricarebbe di abbattere.
E’ un po’ quello che tenta di fare nel nostro paese il PD, che in questi giorni ha celebrato i suoi primi 10 anni di vita con qualche polemica e qualche incomprensione ,ma che resta l’unica realtà in Italia ed in Europa capace i fare argine ai populismi di destra e di sinistra e l’unica forza politica portatrice di una capacità di governo all’altezza di queste sfide. Del resto queste ultime elezioni ci dicono anche un’altra cosa, ci dicono che non c’è futuro, se non di pura testimonianza, per forze politiche alla sinistra del PD. Desta amarezza ed un po’ di tristezza vedere come chi è uscito dal PD pensi di proporre una politica che prescinda dal PD e che sia ancorata al passato, ad un passato di sinistra, che è stata coltivata quando il fenomeno della globalizzazione e delle migrazioni non era neanche all’orizzonte. Vedere Bersani, già ministro dell’industria misurato e competente, conosciuto per il suo impegno nelle liberalizzazioni – si ricorderanno le sue lenzuolate- affrontare temi come lo sviluppo rifugiandosi solo nei pur necessari interventi pubblici e D’Alema, già capo di quel governo che non ebbe esitazioni ad intervenire, per conto della Nato, nei Balcani in compagnia di terzomondisti e di chi si è sempre definito di sinistra, dura e pura, fa un certo effetto. Sembra veramente che il filo della loro storia nel rocchetto sia stato riavvolto troppo velocemente e che non l’abbiano potuto, o voluto, controllare. E’ per questo che il decennale del PD ripropone con forza la bontà di quella intuizione e che mettere insieme tutti i riformisti e democratici sia ancora l’opera da compiere. Se non sono bastati questi primi dieci anni ce ne vorranno magari altri dieci. L’importante che non manchino uomini ed idee nel laboratorio del Partito Democratico.