Perugia 2019: l’Umbria che avremmo potuto raccontare
di Donatella Porzi
I commenti di questi giorni dopo la sconfitta di Perugia nella competizione per il titolo di capitale europea della cultura 2019, riaprono delle questioni sulle quali, evidentemente, non avevamo avuto né il modo né il tempo di riflettere a sufficienza.
Leggere che sono mancati il coinvolgimento, la passione, la conoscenza di quello che stava succedendo, come se veramente in pochi si rendessero conto di quale straordinaria opportunità ci fosse capitata, lascia, oltre tutto, l’amaro in bocca.
Lo slogan, spesso utilizzato in questi anni, che se anche non si fosse raggiunto il traguardo ad assumere una valenza importantissima c’era il percorso di crescita e condivisione fatto, deve trovare adesso una sua realizzazione.
Si è detto che a Matera una folla proveniente da tutta la regione gremiva la piazza per attendere il verdetto, che un progetto semplice come quello lucano ha avuto la meglio solo perché doveva vincere il Meridione. Lascerei perdere queste interpretazioni e vorrei provare a guardare avanti, convinta che, nel merito, qualcosa di più poteva essere fatto. Il coinvolgimento dei comuni, ad esempio, non si realizza solo attraverso l’acquisizione di una delibera di consiglio, ma per mezzo di un lavoro costante e metodico, attento e capillare. Tale lavoro, così in profondità, dobbiamo ammettere che non c’è stato. Perciò, da questa esperienza dobbiamo ripartire con umiltà, capacità di ascolto e di inclusione, consapevoli, in ogni caso, che qualcosa non ha funzionato.
Ricordo quando all’inizio del mandato amministrativo, nel progettare delle linee di lavoro, con lo staff della cultura della Provincia ipotizzammo una progettualità soprattutto rivolta ai piccoli comuni, per far sì che proprio loro sostenessero convintamente il progetto che poteva portare l’intera regione a beneficiare del titolo. Doveva essere una città e non due a guidare il progetto, lo recita chiaramente l’articolo 3 del regolamento. Il nostro cambiare titolo, mantenendo i nomi delle due città, non ci ha aiutati e forse, anzi, ha manifestato il chiaro limite della nostra proposta: due città non disposte a fare un mezzo passo indietro, per farne tutti uno in avanti!
Pensammo allora di coinvolgere i sindaci dei comuni della provincia per far capire la portata dell’opportunità che avevamo di fronte e contestualmente volevamo mettere alla prova un modo nuovo di ragionare, di promuovere in forma integrata il nostro territorio.
Timidamente ci presentammo dai sindaci di Perugia ed Assisi, mostrando loro una lettera con la quale intendevamo convocare i sindaci e gli assessori alla cultura dei comuni della Provincia di Perugia, per poter, insieme a loro, concertare un percorso di attività volte a sostenere il Progetto. L’intento era quello di sensibilizzare i nostri interlocutori rispetto alla necessità di sentirsi partecipi di un processo che avrebbe potuto portare ad un obiettivo importante; intendevamo far capire che non c’erano attori e spettatori, ma che ciascuna realtà poteva concorrere allo scopo, interpretando la propria parte.
Da li abbiamo immaginato la possibilità di cercare e realizzare un contatto, un dialogo tra le nostre città, una rete per creare quell’iter (viaggio) che svelasse l’Umbria, anche quella più periferica, quella più piccola, quella fatta di storia, tradizioni, saperi e sapori che anche noi umbri poco conosciamo, ma che svelano un’identità che l’Europa avrebbe potuto conoscere e della quale avrebbe potuto beneficiare, perché avremmo parlato della nostra natura, del nostro paesaggio, delle nostre rievocazioni storiche, delle tante manifestazioni legate all’enogastronomia, che intrecciano l’arte e che con le diverse forme d’arte assumono sempre nuove, particolari e straordinarie declinazioni, avremmo voluto sottolineare la spiritualità di questi intrecci e di queste scoperte.
Avremmo potuto raccontare… inventare, far partecipare, vivere e costruire intorno a noi questo progetto sicuramente ricercando e sperimentando le declinazioni innovative che l’Europa chiede, forti ed orgogliosi del nostro essere.
Questa straordinaria occasione di realizzare un sogno, forse troppo semplice, si è fermata bruscamente di fronte agli eleganti inviti che mi invitarono a non parlare più di questo Progetto: la mia, la nostra proposta poteva “far scoppiare un caso politico”, queste le parole usate allora nei miei confronti…
Il “caso politico” non è più scoppiato. Ma oggi scoppia, e fa rumore, quello culturale vero e proprio. E in questo ciclone culturale hanno finito per essere coinvolte persone della massima stima, come Bruno Bracalente, e del massimo rispetto, come tanti dei giovani collaboratori del Presidente della Fondazione. A tutti loro mi sento vicina, anzi posso dire di aver lavorato molto volentieri con loro quando un paio d’anni fa’ fui “ripescata” per collaborare alla realizzazione di un progetto con le scuole, ed è anche nel loro interesse che ho ricostruito la vicenda della estromissione mia e della Provincia di Perugia da un percorso di progetto che ancora mi affascina. Quanto al “caso politico”, mi auguro veramente che, se c’è ancora in giro chi lo temeva, non debba essere messo, adesso, nelle condizioni di continuare a fare danni, oltre quelli già prodotti in abbondanza.