Il lavoro che uccide, il lavoro che non c’è
L’ennesima tragedia sul lavoro riapre quella dolorosa ferita delle morti bianche che l’Umbria conosce troppo bene e che non riesce a rimarginare. Il lavoro che uccide è una sconfitta per tutti: dal mondo imprenditoriale alle istituzioni, passando per i sindacati e i lavoratori. O non si è fatto abbastanza per garantire la sicurezza o non si è agito nella direzione giusta. Troppo spesso, davanti alle tragedie, si parla di insufficienza o inadeguatezza delle misure. Troppo parole, tanta retorica e pochi risultati. Puntare il dito è semplice, mettere in campo delle misure risolutive è davvero così complicato? Posto che ci sono degli incidenti difficili da prevedere, in cui la fatalità gioca la sua parte, e davanti ai quali ci si deve arrendere all’impotenza, per la maggior parte degli altri ci si deve invece interrogare se si sta davvero marciando nella direzione giusta a garantire la sicurezza del lavoro. La tragedia di Terni, poi, fa doppiamente male. Posto che non esistono morti di serie A e di serie B, l’incidente al centro di finitura dell’Ast colpisce in particolare la sensibilità per le modalità in cui è avvenuto (l’operaio è stato decapitato dal braccio meccanico di un macchinario manovrato dal figlio) e perché si va a inserire all’interno della difficile vertenza l’Ast in cui gli operai stanno lottando con i denti per difendere il loro posto di lavoro.
Insomma il lavoro c’è, ma rischia di non esserci più per effetto molto spesso di una crisi che non molla la presa. Di lavoro spesso si muore, o perché vittime di incidenti o perché gli affari non girano e non si resiste alle difficoltà. Di lavoro insomma si muore in tanti modi. Il lavoro stesso muore.
Questa spirale negativa rischia di far perdere un po’ il senso delle cose. Il lavoro, come dice Papa Francesco, è dignità. “Il lavoro è una realtà essenziale per la società, per le famiglie e per i singoli – dice ancora il Pontefice – Riguarda direttamente la persona, la sua vita, la sua libertà e la sua felicità. Il valore primario del lavoro è il bene della persona umana, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali”. Forse si dovrebbe ripartire proprio dalla persona e dalla sua dignità per imprimere un’inversione a questo trend.