“Giù le mani dalla sanità pubblica”, il successo della manifestazione di Perugia e i campanelli di allarme ignorati

A distanza di due giorni dalla partecipata e riuscita mobilitazione, a Perugia, a favore della sanità pubblica in molti tirano un sospiro di sollievo. Tanti commenti favorevoli; la conferma che sulla sanità l’Umbria rischia una deriva incontrollabile e corre il pericolo – con il blocco delle assunzioni –  di un ulteriore deterioramento delle condizioni di lavoro di medici e personale sanitario che sta spazzando via anche l’entusiasmo. Sono molti, infatti, coloro che all’entusiasmo per una professione definita ” la più bella del mondo” oppongono la rassegnazione o addirittura l’abbandono. Stanchi, demoralizzati, dimenticati, è l’identikit dei medici, ospedalieri e del territorio. Basta vedere alcuni dati: molti preferiscono anticipare il pensionamento mentre altri preferiscono lasciare il pubblico per lavorare in una struttura privata o dedicarsi alla libera professione. E’ sufficiente vedere come alcuni professionisti dell’ospedale di Foligno hanno deciso di lasciare il San Giovanni Battista per trasferirsi in una struttura privata realizzata in città. Un fenomeno che nel tempo toglie risorse alla sanità pubblica e porta i pazienti a curarsi in strutture private. E pazienza per chi non ha le possibilità economiche per farlo. La mobilitazione di sabato scorso, voluta da Cgil e Uil, ha mandato due messaggi neppure tanto in codice alla Regione: la governatrice Tesei e l’assessore Coletto dovrebbero evitare di dire “tutto va bene” perché in realtà nulla sta andando bene. Il secondo messaggio è un auspicio: trovare in fretta una via d’uscita in grado di scongiurare il peggio. A cominciare dalla proposta approvata dalla giunta regionale di un nuovo Piano sanitario regionale che sta facendo storcere il naso a tutti: sindaci, operatori sanitari, cittadini e sindacati. Per non parlare dei tagli previsti che rischiano di penalizzare ancora di più i servizi e di fare “macelleria sociale”.  Una cosa è certa: è impossibile chiedere oggi agli operatori sanitari di lavorare in condizioni ancora più precarie e offrire ai cittadini prestazioni meno sicure ed efficaci e magari in tempi ancora più lunghi (vedi liste d’attesa). Il percorso intrapreso è impervio, mette in discussione un diritto riconosciuto dalla Costituzione e rischia di indebolire il principio di giustizia sociale. Tagliare servizi sanitari e risorse (personale, farmaceutica, distretti e altro) può portare a gravissime conseguenze, prima di tutto all’inaccessibilità delle cure per pazienti economicamente o socialmente più svantaggiati. La protesta di sabato non è stata una iniziativa per saggiare le reazioni pro o contro, per mettere in difficoltà qualcuno o favorire altri. E’ stata, invece, l’occasione per ricordare a chi governa la Regione che i campanelli di allarme sono tanti, ma tutti puntualmente ignorati. Se non basta il grido che si è sollevato da piazza IV Novembre si consiglia di leggere o rileggere meglio la riflessione di Papa Francesco fatta lo scorso 4 giugno sulla Sanità Pubblica: “Tagliare risorse alla sanità è un oltraggio all’umanità, la sanità pubblica è una grande ricchezza: per favore non perdetela”. Poi ha aggiunto: ” Occorre lavorare perché tutti abbiano accesso alle cure, perché il sistema sanitario sia sostenuto e promosso. La pandemia ci ha insegnato che il ‘si salvi chi può’  si traduce rapidamente nel ‘tutti contro tutti’, allargando la forbice delle disuguaglianze e aumentando le conflittualità”.