ABC (ALBERTO BURRI CITTÀ’ DI CASTELLO)
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / In qualche maniera Città di Castello entra nel prologo delle manifestazioni per il centenario della nascita di Alberto Burri, che cade nel 2015, proiettando implicitamente in questa direzione gli eventi della 47ma edizione del Festival delle Nazioni, quest’anno dedicato all’Armenia. Si parte con il Festival fra pochi giorni, mercoledì 27 agosto, e si parte fra un mese (per l’esattezza il 19 settembre) con la mostra “Rivisitazione: Burri incontra Piero della Francesca”, che però avrà una sede decentrata. Non, dunque, Città di Castello, ma la patria di Piero, Sansepolcro, perché è giusto che un maestro dell’arte del Novecento ridiscenda il corso della storia in direzione del Quattrocento ispiratore anziché a compiere il movimento sia uno dei maestri riconosciuti della seconda generazione di umanisti. Finirà, poi, che gli artisti si incontreranno sui binari della storia, che scorrono, per quanto li riguarda, in maniera inverosimilmente parallela dal punto di vista della cronologia (Piero ha attraversato tutto il Quattrocento, dal 1415 circa al 1492, Burri tutto il Novecento, dal 1915 al 1995) e in maniera meno immediata, ma non meno ricca di suggestioni, dal punto di vista dell’estetica vera e propria. Dopo avere vissuto l’interessantissima esperienza dell’anno scorso con i “Capolavori in Valtiberina”, ci si prepara, insomma, a un contatto ancora più diretto, forse per la prima volta diretto, fra Piero e Burri, nel nome anche della persistenza e della continuità della terra che fra Umbria e Toscana li può annoverare come propri figli.
A questo esordio di celebrazioni farà seguito, a marzo del prossimo anno, un incontro di studio sulla pittura di Luca Signorelli, per la quale Burri nutriva un esplicito interesse, che si svolgerà a Morra.
L’attenzione che riservo a questi due appuntamenti è in ragione del fatto che essi centrano un obiettivo di politica culturale che, per l’Umbria, è ricco di premesse e, però, avaro di grandi risultati, di eclatanti azioni espositive.
La mostra di Sansepolcro e l’incontro di studio di Morra rappresentano effettivamente due operazioni culturali delle quali si sente, da tempo, un enorme bisogno: l’apertura di un percorso di verifica a tutto campo sul rapporto fra istanze spirituali e artistiche separate da secoli di storia e riunificate da bagliori improvvisi che maestri riconosciuti delle arti visive hanno sperimentato e provato a illustrare con le loro riflessioni, se non proprio a concretizzare con le proprie opere. La “rivisitazione” che Burri può avere fatto di Piero si pone sullo stesso solco che Piero, ai suoi giorni, può avere compiuto rispetto a secoli di cultura artistica a lui precedente. La nostra epoca ha il grande vantaggio di poter illustrare, come nessun altro momento storico ha potuto fare, queste implicazioni vaste e profonde della storia dell’arte, per cui ogni tentativo critico – ed espositivo – che va in questa direzione va preso come autentico arricchimento e sicuro motore di aperture intellettuali.
La domanda è, però, questa: perché percorsi così vitali e innovatori rimangono sempre un po’ defilati rispetto al corso maggiore dell’interesse – e dei conseguenti interventi – per gli artisti, che continuano ad essere presi, sempre, per lo meno nella nostra Umbria, ognuno a se stante, nell’olimpico specialismo che assicura terreni essenziali di notorietà ai singoli critici, ai vari storici dell’arte? Non sono via via deludenti i risultati raggiunti, con questo modo di operare, attraverso le grandi mostre realizzate in Umbria? Non è una china pericolosa quella che ha visto scivolare successo, riscontri e incassi dal Perugino al Signorelli?
Sta di fatto che sono ormai anni che l’Umbria, e Perugia in particolare, non riesce più a concepire un grandissimo evento espositivo. Certo, ci aspettiamo la risalita della china dalla mostra americana di Burri, che tornerà a Città di Castello a fine celebrazioni, nel 2016, dopo essere stata al Guggenheim Museum di New York e in Germania. Allora, sarà stato presentato, il 15 marzo 2015, anche il nuovo catalogo generale delle opere di Burri, allora 50 artisti internazionali si ritroveranno in un convegno per discutere dello stato e delle prospettive dell’arte contemporanea. Ma, allora, che ne sarà della “Rivisitazione” d’apertura, della giornata di studio sul Signorelli? Non sono, questi, appuntamenti destinati a rimanere minori, di secondo piano, utili per rompere il ghiaccio, formidabili occasioni per gli ultra specialisti se non per i cultori di cose locali?
A me questo dubbio rimane ed è, credo, un fardello particolarmente molesto per quanti – dai politici ai poeti – ambirebbero a sviluppare, per il territorio in cui operano, linee espositive dinamiche, coraggiose, metropolitane, lungo le quali si muovono gli artisti nelle loro distanze e nei loro tentativi di avvicinamento.
La mostra americana di Burri sarà un prodigio di allestimento e un monumento di conoscenza critica senza uguali. Essa esalterà il territorio umbro sui suoi confini settentrionali e, per una volta, non sul centro rappresentato dal capoluogo. Essa segnerà un’inversione di tendenza, dimostrerà che non sono soltanto motivi di crisi economica a impedire le grandissime progettazioni culturali e che, anzi, per queste le risorse riescono a mettersi in campo.
Essa, però, mi auguro, sarà così illuminante da far risplendere una buona volta, con luce di ritorno, anche i fuochi minori, quelli intanto accesi a Sansepolcro con la “rivisitazione” di Piero della Francesca e a Morra con il convegno su Signorelli. Dopo Burri, contiamo davvero, per l’Umbria, su una stagione di nuove proposte di vastissimo richiamo, costruite non solo su un artista ma su quei dialoghi fra artisti di ieri e di oggi che la critica d’arte deve finalmente avere il coraggio di scoprire e rendere interessanti per il pubblico.