Dis…corsivo. Annibale Brugnoli, una fiammante bandierina tricolore
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / A proposito di date, se il Comune di Perugia vuole, sa essere preciso come conviene.
Proprio ieri scrivevo del fatto che il seicentesimo anniversario della battaglia di Sant’Egidio è stato spostato di un mese, da luglio a giugno del prossimo anno.
Oggi invece devo registrare, con mia grande soddisfazione, che il centenario della morte di Annibale Brugnoli viene ricordato nel giorno preciso dell’11 dicembre.
È’ prevista, infatti, per stasera, a Palazzo della Penna, l’inaugurazione della mostra, dedicata al pittore, dal titolo “L’età delle favole antiche. Annibale Brugnoli e l’arte a Perugia nel periodo simbolista”. Curata da Alessandra Migliorati in collaborazione con Maria Luisa Martella, l’esposizione si protrarrà fino al 28 ottobre del prossimo anno.
Annibale Brugnoli, che era nato a Perugia il 22 febbraio 1843, morì a Perugia alle 14.30 dell’11 dicembre 1915. Il manifesto funebre ricordava, in un grande, immediato impeto e con sincero affetto, “l’artista insigne, il vecchio patriota, il cittadino che adorava la città propria che ebbe sempre in cima ai suoi pensieri e che onorò con il magistero del pennello in Italia e all’Estero, l’amico dal cuore d’oro, schietto e semplice come il popolo da cui trasse le origini”.
E, il giorno dopo, la figura dell’artista, da parte dell’Iraci, e quella dell’uomo, da parte del Guazzaroni, erano rievocate con vivacità di sentimenti così spigliata da stemperare fortemente il dolore per la perdita di un perugino tanto emblematico. Dell’uomo Brugnoli scriveva, il 13 dicembre, Galileo Guazzaroni (G. Ugo Nazzari), direttore de “L’Unione liberale”: “A diciassette anni non ancora compiuti, l’occhio vivace, il sorriso arguto, l’aria un po’ da scapestrato, dipingeva in una chiesuola del suburbio perugino il miracolo francescano della traversata delle acque. Pochi momenti prima di abbandonare il lavoro, quasi compiuto, il giovanetto, che ebbe il padre e lo zio sugli spalti del ‘Frontone’ il 20 giugno ’59, e che aveva meditato la fuga per raggiungere la schiera dei Mille, dipingeva nascostamente in cima all’albero della navicella una fiammante bandierina tricolore, dinnanzi alla quale, il giorno successivo, i fedeli della chiesa e del Governo pontificio, suscitavano uno scandalo clamoroso e i liberali non sapevano frenare uno scatto di entusiasmo provocatore delle vane rappresaglie poliziesche”.
Nell’aneddoto adolescenziale si prefigurava già tutta l’esistenza di Brugnoli. Scrive, infatti, ancora Guazzaroni che l’artista “ebbe vita agitata, alterna di grandi soddisfazioni e di profonde amarezze, le quali tuttavia non valsero a mutare il suo cuore candido come quello di un fanciullo, generoso come quello di un antico cavaliere”.
Con la sua scomparsa, si assottigliava il gruppo dei “quasi coetanei” che avevano consacrato, nella seconda metà dell’Ottocento e resistendo all’avvio del nuovo secolo, Perugia all’arte e alla bellezza: Domenico Bruschi (nato nel 1840) era morto cinque anni prima, nel 1910; l’anno dopo di Brugnoli, nel 1916, se ne sarebbe andato Guglielmo Calderini (nato nel 1837); Francesco Moretti (nato nel 1833), invece, avrebbe concluso la sua lunga esistenza, la più longeva di tutti, nel 1917.
Ecco uno spaccato di vita e di arte perugina che varrebbe la pena di mettere a tema di un’ampia mostra eclettica e variopinta, approfittando, intanto, dell’importante tassello che la Migliorati, con la Martella, hanno voluto comporre. Oggi, che sappiamo quali differenze di gusto e di formazione, di cultura e di temperamento vi siano state fra questi quattro personaggi del nostro passato prossimo, potremmo vedere dentro il loro mondo di cento e più anni fa meglio di chiunque altro. A chi li ha conosciuti, come, ad esempio, il direttore Guazzaroni e l’Iraci, lasciamo il privilegio della testimonianza diretta ed emotivamente accesa. A noi riserviamo lo spirito critico e l’assoluta benevolenza filiale. In mezzo, rimangono squarci di vita e d’arte, bozzetti che la storia si è divertita a lasciarci in pegno della scrittura che le dobbiamo.
E un bozzetto del genere oggi mi pare quello tratteggiato da Guazzaroni con al centro gli ultimi giorni di vita di Brugnoli: “Della sua città fu gelosissimo. L’ultima sua parola scritta nei fogli locali fu appunto, or sono appena poche settimane, per la bellezza della sua città, che vagheggiava adorna di un parco incantevole e di un porticato pittoresco di fronte alla superba mole del Palazzo dei Priori”. Non dobbiamo scrivere, nell’interesse della storia, anche dei sogni che l’hanno attraversata?