DIS…CORSIVO. ATTENZIONE: RESTAURI!
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / C’è qualcosa che non va nell’amministrazione dei nostri beni culturali.
La vicenda di san Bevignate, i restauri in Basilica ad Assisi e, da ultimo, la vicenda della Fontana di Piazza Tacito a Terni fanno venire molti dubbi non tanto sulla correttezza delle singole posizioni che si contrastano, ma proprio sul concetto di bene culturale una volta che venga preso nel reticolo della perizia conservativa declinata amministrativamente.
Sta di fatto che, per parlare della Fontana di Terni, o una maledizione aleggia su di essa o, cosa più probabile, la cultura del restauro, unica, grande specializzazione della nostra contemporaneità creativa, deve dichiarare tutti i suoi limiti e arrendersi alla forza e alla debolezza delle opere d'arte.
Non si riesce a concepire come su uno stesso bisogno d'intervento, due autorità versate nella stessa perizia possano dare luogo a due interpretazioni e a due diagnosi diametralmente opposte. E se a dolersi è un'opera degli anni Trenta del Novecento, appartenente al nostro passato prossimo, la cosa è ancora più paradossale che se la necessità del restauro fosse stata reclamata da un manufatto ancora ben più antico.
Non è ammissibile che si specializzino strutture per il restauro e che, al dunque, non si riesca a trovare, d'istinto, la via regia del restauro di una Fontana degli anni Trenta del secolo scorso. La cultura del restauro – questo si capisce – è in grado di avvitarsi su se stessa come meglio non si potrebbe da nessun'altra ipotesi d'intervento culturale. Viene da pensare che troppo tempo si sia speso, e troppe energie ancora si spendano, per creare specialisti del restauro la cui utilità è messa in forte dubbio nel momento del bisogno. Perché qui - bisognerebbe cercare di capirlo - ci sono possibilità troppo serie di errore, da una parte o da un'altra della risoluzione progettuale, per poter continuare a guardare con favore le schiere di restauratori che vediamo sui ponteggi dovunque vediamo un cantiere aperto. Come faremo a fidarci mai più della bontà di un parere tecnico, della perizia di uno studio preparatorio, della liceità di un intervento, della proprietà e dell'esito di un'opera di messa in sicurezza se scoppiano casi eclatanti come quello della Fontana di Terni?
C'è un magistero tecnico, nella conduzione delle operazioni di restauro, che soprassiede a qualunque altra indagine più latamente culturale, storica e antropologica. La perizia tecnica avoca tutto a sé il dibattito sul bene culturale da proteggere perché poi sono i restauratori che materialmente devono mettere le mani sull'opera. È come dire che l'ultima parola spetta al chirurgo, che deve operarti, anche contro pareri medici e semeiotici eventualmente contrastanti. Una maggiore umiltà, nel rispetto del paziente, non guasterebbe per nessuno.