DIS…CORSIVO. IL CINEMATOGRAFO “REGINA”
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / L’altro ieri mi sono occupato di un cimelio di epoca napoleonica che alcuni spoletini vorrebbero disseppellire dall’oblio in nome di Luigi Pianciani, personaggio dalla troppo vasta gloria patriottica e politica per essere ridotto a comparire sotto un’operazione di dubbio gusto culturale.
E, a proposito dell’oblio – quello vero, delle “cose” con le quali l’Umbria è cresciuta e che sono rimaste nascoste nel corpo delle sua città – una dimenticanza oggettivamente grave riguarda la memoria dei locali cinematografici che appena cento anni fa chiamavano a gran voce pubblicitaria i cittadini di Perugia e gli stranieri in visita alla città ad assistere alle proiezioni di film muti in ambienti comodi e raffinati.
A Perugia, cento anni fa, c’erano tre sale cinematografiche. Due, ormai consolidate, erano la Sala Eden e il Cinematografo Grifo, la terza, la più recente, era stata allestita in un’area decentrata del “Palace Hotel”, quel Palazzo Cesaroni che oggi ospita l’Assemblea Legislativa umbra.
L’indirizzo al quale avreste trovato l’ingresso del cinema era: via Baglioni (angolo via Baldo), davanti al grande portone che oggi chiude l’accesso a Palazzo Cesaroni in corrispondenza degli spazi retrostanti l’aula consiliare della Regione, in cui vi sono varie sale e salette allestite multimedialmente.
Ma di filiazione dal verbo cinematografico dell’epoca del muto all’odierno impiego di tecnologie ad uso di proiezioni documentarie e di conferenze-stampa neanche a parlarne. La memoria del Cinematografo “Regina” è scomparsa dalla storia di Palazzo Cesaroni come se fossero trascorsi secoli e secoli anziché quel breve lasso centenario che ci separa dalla città capoluogo che sentiva già l’approssimarsi del clima di preparazione al primo conflitto mondiale.
Della presenza del Cinematografo “Regina” non c’è traccia in nessuno dei due volumi che, in trent’anni, hanno ricostruito pietra su pietra le vicende architettoniche della costruzione, del significato urbanistico, della proprietà e dell’uso di un Palazzo certo non secondario per lo sviluppo della Perugia contemporanea.
Ferdinando Cesaroni era mancato da circa due anni e mezzo (8 luglio 1912) allorché il vivace imprenditore del “Palace Hotel”, Giulio Curti, si fece grande davanti all’opinione pubblica di Perugia ospitando direttamente nel fasto dell’albergo di lusso un locale per il cinematografo.
Il 5 dicembre 1914, in spirito di vivace concorrenza con le sale già esistenti, Curti inaugurava il suo nuovo spazio con il colossale film muto “La Dame de Monsoreau”, tratto, nel 1913, dall’omonimo romanzo di Alexander Dumas padre del 1846: produzione francese recente, 2055 metri di pellicola diretti da Emile Chautard. Questo, perlomeno, sono indotto a credere, anche se, nel 1913, un altro film, un cortometraggio, era apparso in Francia con lo stesso titolo e la regia di Maurice Tourneur.
La cronaca dell’ “Unione Liberale” del 7 dicembre 1914 ci restituisce dettagli vivissimi sul pubblico invitato all’inaugurazione del “Regina” (“molte autorità cittadine e molte signore signorine”), sull’ambiente (“La sala oltre alle ampie ed eleganti poltrone, oltre alle sedie comodissime, è rivestita alle pareti da ricchi cortinaggi di velluto cremise che danno risalto fine ed aristocratico al grande salone”) e su tanti altri aspetti: il locale è riscaldato con termosifoni ed è abbellito a tal punto da piante esotiche da dare l’impressione di trovarsi “in una serra sontuosa, in un vero eden primaverile”; il “Regina” è munito del nuovo “Schermo Lux” in lastra metallica solida “di creazione del perugino signor Garbini Arbace”, che garantisce la massima luminosità abbinata al non trascurabile risparmio energetico; accompagna le proiezioni il commento musicale “indovinato e piacevole” del maestro Attilio Cesarini al pianoforte.
Ecco, è tutto. Le luci si spengono di nuovo sul “Regina” del “Palace Hotel”. Ma se passate per via Baldo o, nel Palazzo Cesaroni, vi spingete fino alle sale multimediali, un pensiero ai nostri nonni giovani fatelo. Le loro risa di una sera, perlomeno, sono ancora là.