Dis…corsivo. L’amico abbandonato
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Con espressione gradevole, ma con contenuti immancabilmente solo burocratici, si definiscono “Contratti di fiume” tutti quegli “strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale”. Una due giorni all’Expo (ieri e oggi) ne amplifica portata e significato sulla base di un intenso programma di lavoro molto tecnico e istituzionale.
L’Umbria ha un posto rilevante nella partita, in quanto può vantare l’ideazione del Tavolo che raccoglie i soggetti aderenti al “contratto di fiume” e perché vanta due distretti in cui si sperimenterà questo strumento di programmazione: l’ area del Topino- Marroggia – Clitunno e quello del Paglia.
Prevenzione e riduzione dell’inquinamento, utilizzo sostenibile dell’acqua, protezione dell’ambiente e degli ecosistemi acquatici, mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità, con relativo coordinamento delle azioni e degli interventi, sono fra gli obiettivi virtuosi di questo strumento che è ben diffuso, in potenza o in atto, nella gran parte delle Regioni italiane attraverso la Carta nazionale, patto che “pone al centro” come dicono i documenti ufficiali “la tutela di un bene collettivo”.
E un fiume sarà anche un bene collettivo, ma più spesso, intanto, ricorda tanto la figura di un tesoro accantonato e lasciato al suo destino. Il fiume è l’amico, fra tutti quelli che abbiamo in natura, più dimenticato e trascurato.
Sta troppo in basso rispetto all’orizzonte del nostro vivere quotidiano, è incassato sotto i nostri piedi, ci fiancheggia altrettanto quanto lo fiancheggiamo andando e venendo. Un colle lo saliamo, in cima a una montagna ci spingiamo, dentro un bosco ci entriamo, in un parco riposiamo allegramente, ma il fiume non lo raggiungiamo che raramente, forse non lo guardiamo nemmeno quando qualche percorso verde gli è stato tracciato accanto.
Nasce da questa indifferenza quotidiana ed elementare verso un corso d’acqua ogni altro danno al quale intende porre riparo, per quanto può, il “Contratto di fiume”. E, poiché la battaglia fra la burocrazia e la natura è sempre impari e, peggio ancora, inquinata da malefiche intenzioni di rapina del territorio, il danno sta nelle radici, nell’abbandono ormai secolare di ogni forma di sostentamento umano e sociale nella quale c’entri, per magica virtù naturale, un corso d’acqua.
Le sponde sono appannaggio esclusivo di quei volontari di un indefinibile piacere che sono i pescatori della domenica; i pesci spesso saltano in solitudine, da una domenica mattina all’altra; la vegetazione si richiude ben presto sui sentieri tracciati per scendere
al fiume; le stagioni, il sole e il vento, fanno compagnia a questo mondo mezzo sommerso e ispirano ancora qualche poesia inconsapevole durante le lunghe attese tra una cattura e l’altra. Poesia e dramma, quando il fiume rompe il “contratto” fatto in suo nome e danneggia per chilometri l’ambiente circostante, facendo pagare cari i danni radicali fatti al suo pacifico connotato di equilibratore ambientale, creato per figurare all’uomo la potenza e la lentezza, la freschezza e il profumo della vita che scorre.
Se non si scende più al suo livello, però, magari come coppia di innamorati, questa memoria si perde e allora non c’è “contratto” che tenga. Ci vuole ben altro, per riprendere consuetudine con un amico abbandonato.