Dis…corsivo. Leonessa
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Da sempre vicinissima al confine umbro, Leonessa, secondo Comune più vasto della Provincia di Rieti, viene da una vicenda amministrativa che l’ha vista transitare direttamente, nel 1927, dall’Abruzzo alla Provincia di Rieti. Leonessa non è mai appartenuta, cioè, alla Provincia dell’Umbria e il fatto indubbiamente colpisce molto, se si pensa alla frequenza, all’intensità e alla permanenza nel tempo dei rapporti fra le città e i centri della Valnerina e il versante settentrionale del Terminillo nel quale la città, con i suoi 974 metri di altitudine, si colloca.
La lontana appartenenza di Leonessa alla famiglia regionale abruzzese non sembra mai essere stata sciolta, se è vero che la proposta del Sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente, di riportare a casa, con Leonessa, Cittaducale, Antrodoco, Amatrice e il Cicolano ha incontrato un qualche consenso fra la gente.
La vicenda risale a tre anni fa e testimonia di un lavorio sotterraneo dei Comuni per decidere “sul campo” partite che i governi, quelli regionali e quello nazionale, avocano a sé con immutata nonchalance, dagli anni Venti del Novecento a oggi.
Così, oggi, intorno alle sorti di Leonessa si dovrebbe pur riflettere in maniera molto particolare caso mai si dovesse affrontare la questione della “grande regione” umbro-sabina del futuro italiano. Leonessa rimane infatti, a dispetto dell’antica appartenenza alla famiglia abruzzese, solidamente “gemellata”, se così si può dire, alla gente umbra.
Da Cascia a Leonessa, in mezz’ora di comodo percorso stradale, si passa oggi da una regione all’altra con la forte impressione di non essersi mossi di casa: la strada regionale 471 passa ai piedi di Monteleone di Spoleto, attraversa la sua frazione di Ruscio, dove c’era la dogana fra lo Stato pontificio e il Regno delle due Sicilie, e raggiunge Villa Gizzi, a poco meno di quattro chilometri dal centro di Leonessa. Un tragitto di 26 chilometri che sembra fatto per andare di qua e di là dalla storia più che dagli spazi di una regione a quelli di un’altra regione.
Si invoca qui la stessa unità territoriale che si prova, ad esempio, quando da San Giustino, nell’Alta valle del Tevere, si entra a Sansepolcro, in Toscana. Oppure quando si entra nelle Marche, oltrepassata Preci, per approdare nelle Marche, a Visso.
Veramente non si capisce perché se la Toscana, le Marche e l’Umbria si coapparterranno attraverso le due porte sopra dette, la stessa cosa non debba accadere sugli altipiani dell’antica via che, a Ruscio, segnava il confine doganale fra due Stati.
A chiedere questa continuità sono i molteplici passaggi che, oltre la strada regionale che da Cascia va a Leonessa, hanno permesso l’integrazione, nel Novecento, fra le comunità umbre e quelle reatine.
Ieri ho cercato di mostrare, attraverso il salto del Velino nel Nera, la via regale, d’acqua, che unisce i due lembi dell’Umbria e della Sabina nel territorio della Provincia di Terni. Oggi, partendo da Cascia, ho cercato di far capire la stessa immediatezza naturale che connette Umbria e Sabina a partire dal territorio della Provincia di Perugia. E sottolineo che, a partire da queste porte principali e oltre esse, tante strade ben più strette e disagiate, ma forti e irrinunciabili, la gente ha aperto in mezzo alle montagne non facili di queste parti per unire le economie di un tempo, non ricche ed evolute come oggi ormai sono.
Riunire l’Umbria e la Sabina, in fin dei conti, sarebbe anche un risarcire le popolazioni locali e i loro atavici sacrifici di frequentarsi e di valorizzarsi a dispetto di una natura che non è mai stata così pianeggiante come quella che da San Giustino permette con facilità di passare a Sansepolcro.