DIS…CORSIVO. MASSA MARTANA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Un crocifisso parlante è una statua che nella rappresentazione del Cristo sulla croce ha voluto inserire tutta la forza di una religione mistica e contemplativa.

Tale era la potenza, nel Trecento, del legame tra il fedele e il simulacro della Passione che a qualcuno, anche in Umbria, può essere sembrato che la statua del crocifisso parlasse. Così, esperti maestri artigiani hanno potuto soddisfare questa intensità spirituale assecondando, con opportuni, elementari meccanismi (fra i quali un elemento mobile inserito nella bocca a simulare il movimento della lingua), il bisogno di parola e di dialogo con la divinità che si esprimeva nelle chiese.
Oggi non sapremmo più come apprezzare un crocifisso parlante se non come, prevalentemente, oggetto d’arte, mantenendogli, cioè, il carattere sacro ma spogliandolo dell’eccitazione spirituale dell’epoca che l’ha prodotto e ridandolo a un altare con il quale non abbiamo più lo stesso forte rapporto che avevano i nostri antenati del Trecento. E, per colmare la distanza fra una religione molto mistica e una molto più profana come l’attuale, ci spingiamo a dire che sono un po’ tutti i crocifissi a parlare e a rivelare, nella loro varia iconicità, il discorso sulla fede e sulla resurrezione che facciamo con noi stessi. Credo che perfino un dissacratore come Guareschi, col famoso crocifisso parlante di Don Camillo, volesse esprimere molto di più di una sarcastica occasione di polemica anticomunista, anche se questa c’era tutta.
A Massa Martana, stasera, viene riconsegnato alla Chiesa parrocchiale di San Felice uno dei rarissimi crocifissi parlanti che una terra come la nostra ha potuto conservare. È un’occasione unica tanto per non trincerarci dietro il semplice apprezzamento dell’arte quanto per non tentare inutili fughe verso improbabili regioni mistiche. È un’opportunità per proporci l’obiettivo di non parlare al vento, al muro, al nostro smartphone, ma di cercarci un partner di discorso ben più autentico e fondamentale, lasciando aperta l’opzione del Cristo in sé o dell’idea spirituale del nostro essere nel mondo. L’importante è che possiamo conservare così tanta immaginazione da essere certi che un’altra entità, vicina o lontana da noi che sia, ci ascolti, ci sollevi dalle nostre pene, ci sostenga nelle difficoltà, ci faccia sentire meno soli e un po’ più fratelli, anche, di tutti quelli che, con dolori più grandi dei nostri, non hanno più la forza di vedere le labbra di un Cristo che si rivolgono ai loro occhi.

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