DIS…CORSIVO. PEPPONE RITORNA (D)ALLA GUERRA

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Nel film “Don Camillo e l’onorevole Peppone” c’è una scena che chiarisce bene il rapporto che molta politica italiana “progressista” ha faticato a instaurare con l’eredità della Prima Guerra Mondiale.

Lo si vede molto bene oggi che, dopo decenni di prese di distanza, non c'è nessuno che non si schieri dalla parte della “comprensione” storica e critica degli eventi di cento anni fa, mentre, per molta culura “progressista”, dal secondo Dopoguerra a ieri, il conflitto del 1914-1918 era un tabù, una sorta di vergogna nazionale.
La scena è questa. Comizio di chiusura della campagna elettorale del 1948. Il sindaco Peppone sale sul palco. Per lui ci sono la “compagna” venuta da Roma e il compagno avvocato Cerratini in rappresentanza del Fronte Indipendente della Pace. Con lui, in piazza, c'è tutta Brescello.
Installato sul punto più alto del campanile, Don Camillo segue la scena e, dopo che Peppone ha dato fondo a tutti gli stereotipi della cultura della pace adombrando il ripudio progressista degli italiani guerrafondai del 1914 – 1918, il parroco fa andare un disco con “La canzone del Piave”.
Il cuore di Peppone piano piano si scioglie e, col muscolo cardiaco, si allentano le parole, i freni, le censure, qualunque ipoteca ideologica progressista posta sui sentimenti di un uomo ancora giovane.
Peppone, sappiamo dal film, ha quarantanove anni (lo ha confessato alla giovane compagna venuta da Roma durante un flirt al quale ha messo fine sul nascere), dunque ha partecipato alla Prima Guerra Mondiale come un “ragazzo del '99”. E mentre “La canzone del Piave” procede col suo ritmo trascinante, le parole di Peppone cambiano registro e ispirazione, tornano quelle del “ragazzo del '99”, si rivolgono, in un empito irrefrenabile, ai giovani che si trovano sulla piazza di Brescello: “Direte che i vostri padri hanno difeso la patria dal barbaro invasore, che minacciava i sacri confini. E che noi del '99, che abbiamo combattuto sul Monte Grappa, sulle petraie del Carso e sul Piave, siamo sempre quelli di allora. E allora, quando tuona il cannone, è la patria che chiama e noi risponderemo: Presente! Noi vecchi che abbiamo sul petto le medaglie al valore, conquistate sul campo di battaglia, ci troveremo allora al fianco dei giovani e combatteremo sempre e dovunque e getteremo l'anima oltre l'ostacolo e difenderemo i sacri confini d'Italia contro qualsiasi nemico, dell'Occidente e dell'Oriente, per l'indipendenza del Paese e al solo scopo del bene indissolubile del Re e della Patria. Viva la Repubblica! Viva l'Esercito!”
Sul palco ci sono attimi di panico: il compagno Peppone è incontenibile. Solo l'avvocato Cerratini prova a fermarlo, ma viene respinto dalla foga giovanile, ardita, nazionalista in cui è stato risucchiato il sindaco che sta per fare il gran salto verso il Parlamento nazionale. Per adesso, sull'istante, viene portato in trionfo dal gruppo dei compagni fedelissimi, la folla lo applaude in ogni caso, si forma un corteo spontaneo che interrompe lì il comizio e sciama per il paese a passo di marcia, in un'orgia di giovanilismo, verso il Monumento ai Caduti. Anche Don Camillo, dall'alto del suo rifugio, applaude vistosamente.
Toccherà alla giovane compagna venuta da Roma congedare, consolare e far riavere l'avvocato Cerratini: “Non preoccuparti, compagno, i borghesi amano le glorie passate. Peppone avrà un sacco di voti!”
Peppone avrà anche avuto un forte successo elettorale, ma quanta fede spontanea di una generazione è stata sacrificata per un'ideologia! I partiti del secondo Dopoguerra, soprattutto quelli di sinistra, sono cresciuti lucrando sulla buonafede dei reduci della Prima Guerra Mondiale, condannandoli al silenzio e facendo parlare, al loro posto, i giovani partigiani, gli eroi dell'Italia de-monarchizzata e de-fascistizzata. Ma i “ragazzi del '99” hanno covato per una vita l'orgoglio di venire prima della monarchia e del fascismo e lo sfogo di Peppone fa amaramente constatare il grado di repressione al quale può essere giunto il veto ideologico posto al loro sentimento da una politica freddamente pacifista e algidamente indipendente.
Il pluralismo partitico, schiacciato dal fascismo nel primo Dopoguerra, si è preso la sua rivincita spazzando via, nel secondo Dopoguerra e nella democrazia, il regime e la monarchia. Ma, con ciò, ha cancellato la lealtà e l'onestà di intere generazioni di semplici combattenti “sul Monte Grappa, sulle petraie del Carso e sul Piave”. Quelli ai quali oggi un po' tutti, ipocritamente e in ritardo, guardano con stupita attenzione nelle mostre decorative e oleografiche sulla Grande Guerra.

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