DIS…CORSIVO. PORTA PER PORTA
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Ci vuole coraggio, e una buona dose di sfrontatezza, per potere affermare, come fa il Direttore artistico di Perugia2019, che il progetto era per l’Europa e non per una città, che il lavoro della Fondazione è stato capillare e che il disegno per la Capitale è andato oltre la tradizionale divisione fra destra e sinistra. La dichiarazione di Colasanti, resa nell’immediatezza del verdetto, a caldo, è questa: “Non nascondo amarezza, pur avendo seminato con questo progetto intelligenza ed entusiasmo. Un progetto che è opposto a quello di Matera. Qui infatti abbiamo proposto un cambiamento culturale per l’Europa, non per una città. Un progetto inclusivo, costruito porta per porta. Dunque nelle polemiche che creano esclusione. Qui è stato fatto un lavoro che va oltre la destra e la sinistra, l’abbiamo fatto da essere umani, che è molto più. Abbiamo vissuto qualcosa che non è un sogno ma un qualcosa da realizzare. Adesso bisogna ripartire dai ragazzi di Perugia Capitale europea dei Giovani2017 cercando di cambiare non solo Perugia ma l’Europa”.
Sembrano parole in libertà, molto meno ponderate e riflessive di quelle che, anche se con un po’ di ritardo, ha pubblicato l’altroieri il presidente Bracalente. Per leggere la dichiarazione di Colasanti, al contrario di quanto bisogna fare per interpretare quelle di Bracalente, bisogna sfrondare il testo da molte superfetazioni e da alcune autoreferenzialità davvero pesanti (la semina di intelligenza e di entusiasmo!) oltre che da patenti sciocchezze (un lavoro fatto da esseri umani: e gli altri concorrenti chi erano, dei robot?) e da iperboli dettate da intervenuta impotenza, in stile berlusconiano (adesso che abbiamo perso, cerchiamo di cambiare non solo Perugia ma l’Europa: “mi consenta!”).
Adesso. Adesso sì che è chiaro perché Perugia non ce l’ha fatta. Con affermazioni così perentorie, c’è da crederci, la provincia si è trovata spiazzata, non ha retto il passo dell’intelligenza metropolitana, è rimasta indietro, si è attardata sull’uso patriarcale dei suoi beni culturali, ha perso tempo dietro ai suoi studiosi locali, ha messo in vetrina i suoi borghi belli come in un presepio, ma, nella resa, meno ancestrali dei Sassi di Matera.
Io credo che tutto ciò sia profondamente vero, ma sono altrettanto convinto – espediente retorico a parte usato per cercare di fare benevola ironia sulle iperboli di Colasanti – che non risieda nell’incompatibilità del passo provinciale con il progetto metropolitano la causa del fallimento della progettualità della Fondazione.
E allora, ripartendo in direzione di questa ricerca delle cause, provo a contestare, una volta per tutte, le motivazioni vere, non quelle semplicemente pretestuose, addotte da Colasanti a merito della Fondazione, le stesse motivazioni che non ci aiuteranno mai a capire, in realtà, dove si è sbagliato. Questo, caro professor Bracalente, rimane l’unico punto all’ordine del giorno: capire dove si è sbagliato, ragionando apertamente, aprendo un confronto vero, non liquidando come “sbrigative” le opinioni di chi, anche nel lutto, non si è associato e non si associa al cordoglio laico e votato – ahimé – al rilancio dell’attività di una Fondazione rappresa ma ancora viva.
Non è vero che il progetto era per l’Europa e non per una città: il progetto doveva salvare l’orgoglio di una classe intellettuale locale spocchiosa e altezzosa, boriosa e sicura di sé oltre ogni limite; il progetto era ad uso e consumo di una cerchia ristrettissima di operatori della cultura che si è allargata, nella fase finale, alla consociazione dei più fedeli, con attribuzione dall’alto di sottoprogetti e di promesse di protagonismo, con promozione di improbabili circoli della domenica a svantaggio dei grandi eventi in costume del territorio regionale.
Non è vero che il progetto è stato costruito porta per porta: avrete anche bussato, direttori e signori della Fondazione, a ogni uscio della piccola Umbria, ma o gli inquilini erano fuori per una passeggiata o vi hanno preso per dei Testimoni di Geova, ai quali spesso è più prudente non aprire di quanto non sia prudente norma di incolumità andare “come un pazzo a fari spenti nella notte”. E non è vero che si sia andati porta per porta perché nel momento di stringersi tutti intorno a un qualche totem per aspettare il verdetto la Fondazione si è ritrovata da sola, rinchiusa nei suoi solenni uffici, senza popolo vociante e tremante a sorreggere i giovani in lacrime mentre fuori si cominciava ad allestire, quel venerdì 17 ottobre, l’immune da insuccessi Eurochocolate. E non è vero che si sia convocato il popolo delle famiglie e dei cittadini qualunque perché adesso che c’è da dibattere sulla sconfitta ci ritroviamo pur sempre in quattro gatti a indignarci e rimandarci una palla, giocando una partita – se proprio vogliamo osare: mediatica – per la quale non c’è nessun manifesto interesse. Nessuno.
Non è vero, infine, che il lavoro fatto è andato oltre la destra e la sinistra. Solo un grande opportunismo ha potuto evitare, in prima battuta, che i titoli culturali di Perugia e quelli di Assisi confliggessero. Tanto il centrodestra di Assisi quanto il centrosinistra di Perugia hanno trovato comodo non ricorrere alle armi e cercare di spartirsi l’ipotetica torta, ma così hanno inferto il primo colpo basso al progetto di candidatura, lasciando languire di sciocchezze il bambino nella culla: ricordo ancora il tono di tronfo trionfo col quale si annunciava al mondo che due città, che si erano fatte la guerra per secoli, adesso avevano fatto la pace. Già da allora si doveva capire che non si sarebbe andati lontano, con quegli storiografi da strapazzo che proclamavano simili menate. Quando Perugia ha raccolto il gracile bambino progettuale è stato perché la furbizia del centrodestra assisano (che è tutto dire!) gliel’ha lasciato crescere e agghindare di buon grado: le lobbies assisane non si sono sporcate le mani in un’impresa nella quale avevano capito che non c’era niente da guadagnare. E, nell’ultimo atto, dopo il cambio di guardia a Palazzo di Priori, la circospezione dei nuovi Priori del centrodestra è stata pari a quella dei loro soci di Assisi: hanno semplicemente lasciato che i giochi si compissero, certi che, in un caso o nell’altro, ne avrebbero ricavato un qualche guadagno: forse il “non vedere non sentire non parlare” delle tre scimmiette paga davvero, quando si ha una certa cultura politica.
A Perugia, in ogni caso, qualcuno ha vinto: quelli che sono stati a guardare senza entrare nella mischia, quelli che un’idea alternativa al parto della Fondazione di certo ce l’avevano e non erano così minoritari come la Provincia di Perugia, quelli che hanno continuato a promuovere l’interesse dei loro grandi eventi. Che sarebbe successo alla candidatura se ci avesse messo le mani sul serio Eurochocolate?