DIS…CORSIVO. “QUANDO PASSATE, SUONATE”
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Volendo o non volendo, con questo invito rivolto domenica scorsa ai motociclisti della strada Apecchiese, il vescovo di Città di Castello, Domenico Cancian,ha lanciato un appello, grande e buono, semplice e universale, a chiunque abiti da queste parti, in Umbria, intendo.
Il vescovo ha chiesto ai centauri, quando passano per l'Apecchiese, di ricordarsi di lui, che ha le finestre sulla strada e sente il rombo continuo delle due ruote da corsa con paterna trepidazione. Un pensiero molto affettuoso, ricco di carità e di partecipazione. Ma, anche, un rinvio ad ascoltarsi, reciprocamente, per le strade e i vicoli delle nostre città, o paesi, o borghi. Le condizioni, ancora ci sono. È frequente che, quando passiamo per i luoghi più tipici dei nostri centri storici, si aprano finestre sopra di noi o che da qualche portone vengano le voci di una famiglia riunita, bambini e adulti che si godono quanto resta dei nostri caratteristici centri storici. A chi passa per strada, in certi momenti, si potrebbe indirizzare l'invito del vescovo Cancian: “Quando passate, suonate”. Fatevi sentire, facciamoci sentire, stringiamoci in un abbraccio senza confini, senza remore, lasciamoci andare a una fraternità fra sconosciuti, scambiamoci un segno di presenza. Da questo piccolo richiamo alla condivisione dei luoghi può nascere qualcosa di più: l'appartenenza di ognuno di noi al domani delle nostre città, che hanno bisogno, tanto bisogno, di rinascere spiritualmente nelle voci di chi passa per via e di chi abita nelle case antiche che le costeggiano.
Veniamo da anni nei quali i nostri centri storici si sono spopolati, è vero, ma non si può dire che si siano persi del tutto. Finché, infatti, rimane una pulsazione minima di rapporti sociali, finché si può dire: “Quando passate, suonate”, si può sperare di tornare a fare grandi e ricchi di legami fra la gente i nostri centri storici. Grazie, vescovo Cancian, per avercelo ricordato e per averci spinto, noi che non siamo centauri, a guidare con prudenza la navicella della nostra vita, sapendo che qualcuno ci sta pur sempre ascoltando e che anche noi possiamo ascoltare la vita di qualcuno che parla dietro le finestre.