DIS…CORSIVO. Quel vecchio progressista di palazzo donini
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Un gustoso articolo del “Corriere dell’Umbria” del 13 giugno 1874, a firma di tale “Margherita”, descriveva così il palazzo della Giunta regionale che oggi e domani sarà aperto eccezionalmente al pubblico in occasione degli importanti restauri eseguiti all’interno:
“Di fronte al nuovo palazzo della Provincia, il vecchio palazzo Donini – Un vecchio però ben conservato e di buon umore; un vecchio progressista, solo un po' corrucciato per vedersi già da tanto costretto a giacere sopra un letto di spine (e qui forse la Margherita intende per spine i puntelli, le pietre smosse e gettate alla rinfusa, che da tanto tempo si ammirano attorno a quel palazzo elegante dalla parte di piazza Vittorio Emanuele)”. Che dire? Che la storia ritorna e si ripresenta come se debiti antichi non fossero ancora stati saldati? Nel 1874, in effetti, palazzo Donini, costruito un centocinquantennio prima del palazzo della Provincia, era la più vecchia vestigia urbanistica dell'area di Colle Landone, ormai proiettata sul futuro con il “maestoso e serio” palazzo della Provincia, il “chiassoso e pettegolo” palazzo Calderini e il “muto e accigliato” palazzo della Banca Nazionale, stando sempre alle pittoresche definizioni di “Margherita”. Col passare dei decenni, la Provincia, col suo palazzo, è invecchiata talmente da far ringiovanire palazzo Donini e l'istituzione che ospita: la Regione. Adesso che la Provincia non c'è più, tocca di nuovo a palazzo Donini e alla sua amministrazione il titolo di più vecchio ente di governo che si affaccia su Piazza d'Italia. Quarantaquattro anni non sono un'enormità, ma per la storia dei passaggi istituzionali così potentemente accelerati nell'ultimo triennio costituiscono una dimensione epocale.
Così, di nuovo, palazzo Donini si trova ad essere un “vecchio progressista”. I suoi inquilini sono dei “vecchi progressisti”, senza polemica da parte mia, solo per il combaciare di vecchie definizioni con nuove realtà maturate secoli dopo. “Vecchio progressista” potrebbe essere rivolto da qualunque componente dell'opinione pubblica locale alla classe politica che governa il palazzo dal momento della costituzione della regione. Alcuni potrebbero usare il titolo con tono beffardo, d'accordo, altri con polemica, altri ancora per segnare la loro indifferenza verso le politiche della dirigenza di centrosinistra di palazzo Donini. E, poiché è riconosciuto che il rinnovamento della classe politica regionale umbra è sempre stato molto lento e, qualche volta, farraginoso, la definizione di “vecchio progressista” potrebbe, in cuor suo, essere accolta con tenerezza e compiacimento da ognuno degli inquilini dell'esecutivo di palazzo Donini. Senza paure per il domani, s'intende, senza, cioè, temere che un epiteto tanto rassicurante e benevolo possa intralciare il raggiungimento del prossimo obiettivo elettorale. Per esso, infatti, si è promesso il cambiamento, ma nella continuità. Che cosa potrebbe esserci di più adeguato, dunque, per inverare e rendere attuale la definizione cavata da una cronaca polverosa del “Corriere dell'Umbria” del 1874?
Ma non vorrei chiudere questo articolo senza rendere merito all'opera di restauro in sé, anticipata come il punto d'arrivo di una filosofia di allestimento degli interni curata da Bruno Salvatici e Daria Ripa di Meana con sforzo filologico di valorizzazione degli spazi destinati a nuova funzione. Conoscendo il valore dei professionisti, non ne ho dubbio, salvo tenere d'occhio il giudizio che daranno poi i frequentatori del palazzo: in questa sede e con questi allestimenti, non dimentichiamolo, si prenderanno decisioni molto delicate sul futuro assetto e sulla configurazione socio territoriale dell'Umbria.
Quanto alla frequentazione di queste sale da parte del pubblico, su ciò mantengo le mie fondate riserve: tutti i palazzi significativi per il governo di Perugia e dell'Umbria sono costituzionalmente chiusi, tranne alcune visite guidate di sconsolante tristezza, alla fruizione di massa, come, invece, ad esempio, accade per il Quirinale.
Pur con tutti questi limiti, apprezzo enormemente la scelta di segnalare agli umbri – e anche ai non umbri – con palazzo Donini la presenza, in questa regione, di importanti segni del passaggio di un secolo, il Settecento, che fino a oggi è rimasto negletto e oscurato per molti motivi. E aggiungo: il palazzo di Perugia è in buona compagnia d'immagine. Pressoché negli stessi anni della sua costruzione, veniva eretta da Donna Teresa Grillo Villa Fidelia, ha Spello: il pittore Francesco Appiani e l'architetto Francesco Bibbiena, soprattutto costui, che hanno onorato palazzo Donini, sono esattamente le chiavi di volta per la storia del magnifico scenario della Villa di Spello.