Dis…corsivo. Umanesimo concreto
NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Nel suo volto scavato, gli occhi sono rimasti la più gioiosa manifestazione del credo che lo ha animato per una vita. Quegli occhi del cristiano che dovevano rimanere sempre aperti sul mondo – come esortava a fare con razionale trasporto, senza perdersi in chimere ma accendendo proprio per questo ancora di più l’animo di chi aveva davanti – sono nel ricordo di chiunque abbia avvicinato don Elio e vi rimangono come l’eredità fisica e spirituale più di tutte partecipata e condivisa.
Il tono sommesso e il sereno equilibrio intellettuale della sua figura erano il segno dell’applicazione di una mano ferma a un timone difficile da reggere: la barca della chiesa umbra ha attraversato mari di non sempre facile navigabilità, o, per lo meno, se in superficie le acque non sono state mai eccessivamente turbolente, ciò si deve all’azione di sacerdoti come Don Elio.
D’accordo, i suoi interlocutori, di altre fedi politiche, Don Elio li ha avuti, ma se li ha avuti è perché, prima di tutto, li ha saputi cercare e trovare, anch’essi desiderosi di tirarsi fuori dai polveroni ideologici e di continuare a non farsi accecare dalla sabbia dei deserti dottrinali.
Che questa fosse la strada giusta, Don Elio, almeno nell’ultimo trentennio, ha avuto modo di verificarlo e di insegnarlo. Oggi il dialogo interreligioso sembra un’acquisizione pacifica, ma è bene ricordare che senza l’impegno di sacerdoti come Don Elio non si sarebbe potuto costruire quel contatto che regge agli scossoni ai quali – è cronaca ormai quotidiana – assistiamo.
L’indifferenza verso le altre religioni sta virando, in alcuni settori, verso la ferocia del comportamento attivo e cattivo. Don Elio ha vissuto fino all’ultimo l’escalation della distruzione dei ponti e, fino all’ultimo, le ha opposto la calma risoluzione dell’audacia di un umanesimo senza etichette, sviluppabile solo a partire dalla figura di Cristo, emblema dell’umanità “abitata dalla divinità”, come ha detto in un’intervista dello scorso mese di maggio.
Nell’editoriale che segue, pubblicato su “La Voce” dell’8 maggio con il titolo di “L’esigenza di proporre un nuovo umanesimo”, tutti questi temi compaiono vertiginosamente alti e colloquialmente rivolti alle nostre orecchie, a testimonianza di quella “fraternità” che, per Don Elio, stava un gradino più su di tanti altri comportamenti virtuosi, non così in alto da non poterci guardare, almeno una volta, nella vita.
di Elio Bromuri
«Rimanendo con gli occhi ben aperti sul mondo e su quanto accade di tragico e di bello, vicino e lontano, senza distrazioni fantasiose, con le orecchie aperte alle grida dei poveri e dei disperati e – per quanto sia difficile – ascoltando il silenzio dei sepolti sotto le macerie o annegati in fondo al mare, il cammino della Chiesa, popolo di Dio verso il Regno. Il suo pellegrinaggio terreno non si arresta, e perseguendo il suo progetto di evangelizzare e costruire un mondo più umano: evangelizzare il Cristo, umanizzare il mondo. In questo progetto consiste, a mio parere, il grande sforzo portato avanti, con ogni strumento pastorale, da Papa Francesco teso ad innescare una “conversione pastorale” in una cristianità indolente, tentata di ripiegarsi su se stessa e talvolta appiattita su forme di devozionismo consolatorio. In questa direzione vanno considerate le straordinarie scelte del Papa quali il Sinodo, il Giubileo e anche le proposte della Chiesa italiana che si sta attrezzando con convegni, dibattiti e seminari per affrontare con competenza ed efficacia il grande tema che avrà piena manifestazione a Firenze nel Convegno ecclesiale che si terrà dal 9 al 13 novembre sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. In questi giorni si sta svolgendo a Perugia un Laboratorio che mette insieme molti temi e molte voci allo scopo di scavare il terreno per comprendere in che cosa possa consistere il “nuovo umanesimo” da offrire come proposta e prospettiva alla Chiesa e alla società italiana, senza limiti; e se questo possa essere elaborato in nome e sulla base dell’insegnamento di Gesù Cristo. Chi non percepisce le tante, ardue questioni che sorgono da tale proposta, in un tempo di aspre gelosie religiose e confessionali? I molteplici temi affrontati a Perugia, raccolti sotto il titolo generale “Dalla solidarietà alla fraternità: identità, estraneità e relazioni per un nuovo umanesimo”, sono diretti ad arare il campo di indagine in modo da far emergere zolle vergini di pensiero e di orientamento culturale. Dovranno essere poi ponderate per fare un discernimento che consenta di ‘bruciare le foglie secche’ delle riserve mentali, dei sospetti, della conservazione a ogni costo, e tagliare i rami sterili dei pregiudizi. Per arrivare a un nuovo umanesimo infatti è necessario risollevare le sorti del dialogo languente, riscoprire la solidarietà aperta alla fraternità, riconoscere il diverso come un amico capace di arricchire la mia vita con il suo dono, e non come un pericoloso concorrente nella corsa verso il successo; apprezzare il valore di forme religiose nate e cresciute in zone “periferiche”, lontane dai centri finora predominanti nel mondo, quelli dei poteri forti economici, sociali e culturali. Il Laboratorio che si sta svolgendo in questi giorni (7-9 maggio) è ben situato nel luogo giusto, al centro di una regione, l’Umbria, che ha regalato il nome di Francesco al Vescovo di Roma e ha reso possibili certi “miracoli” unici nella storia, quale la Giornata mondiale di preghiera delle religioni di tutto il mondo per la pace promossa da Giovanni Paolo, che si è svolta il 27 ottobre 1986. Non si tratta di un evento singolare (vi hanno fatto seguito altri di simile significato e valore), ma di uno spartiacque contro una mentalità dura a morire e ogni giorno ribadita con decisione e fanatismo: quella di considerare gli altri come estranei, nemici pericolosi, da evitare e combattere per affermare se stessi, le proprie idee, la propria religione, i propri interessi. Un’ideologia che ha avuto e ha tuttora – come è sotto gli occhi di tutti – sostenitori tenaci e fanatici. Il cammino verso un nuovo, condiviso e convincente “umanesimo” non potrà prescindere da quell’evento e da ciò che quella storica Giornata ha germinato sulla spinta del Vaticano II, anche con iniziative di dialogo e accoglienza dello straniero e del diverso, sorte nel nostro territorio».