CHE COSA FAREBBE…GIUSEPPE ERMINI

È naturale che il dibattito sulle cose presenti debba interessare esclusivamente i personaggi e gli interpreti della quotidianità di oggi. Ma, poiché Perugia e l’Umbria hanno riserve d’intelligenza politica e culturale del recente passato in personaggi ai quali è perfettamente inutile continuare a rendere omaggi formali e dimenticanza certa, ci permettiamo di ipotizzare la partecipazione al dibattito su temi di fondo della società umbra da parte di uomini della politica e della cultura di qualche anno fa, della cui indiscussa saggezza si conserva il ricordo.

NOSTRADAMUS di Luciano Moretti e Maurizio Terzetti / Molti personaggi politici, nonostante folgoranti carriere, si lasciano mettere in un angolo come dei principianti e combattono una guerra di posizione per la quale non sono fatti. Non pensiamo, in particolare, a nessuno né, avendo evocato il “Magnifico” per eccellenza, a un qualche particolare toccasana per la situazione non facile in cui vive l’Ateneo di Perugia. Chi si vuole rispecchiare si rispecchi, chi non si sente chiamato in causa può voltarsi dall’altra parte. Ma se Giuseppe Ermini potesse riprendere, oggi, la parola, ammonirebbe prima di tutto a non lasciarsi mettere in un angolo: dalle circostanze, da giovani rampanti, da messaggi suadenti e sciatti, da ipotesi di lavoro inefficaci, da mascherate di ogni tipo, da protagonismi eccessivi, da cattive prove di intelligenza, da battute inopportune. Ci si mette in un angolo a causa del proprio comportamento politico più di quanto non si creda e, una volta finiti nell’angolo, non è che si stia scomodi, direbbe il “Magnifico”, quella sarebbe la conseguenza meno grave. Si sta senza sapere più come muoversi, come potere fare un nuovo regno politico della posizione di esiguo potere nella quale si è finiti. Ci sono, sì, soggetti nati e cresciuti per combattere le loro guerre in un angolo, ma essi restano indifferenti a coloro che piovono giù, che decadono nell’angolo. E, concluderebbe Ermini, non si diventa collaterali alla scena perché si subisce un infortunio politico, ma perché non si è più in grado di proporre idee nuove, di trasformare il consenso acquisito negli anni in energia motrice per la macchina pubblica che ci si trova, in ogni caso, a guidare.

Altro il “Magnifico” non potrebbe fare, ma se questo fosse, ancora oggi, il suo messaggio, arrivato a noi non si sa come e perché, non ci sarebbe che da mettersi ad ascoltarlo. Il suo è un messaggio d’orgoglio, d’intelligenza, di disinteresse e di moralità che s’indirizza tanto all’Università di Perugia quanto alla comunità locale umbra, soprattutto quella politica, in cui l’Università opera. E perché, allora, non dovrebbe essere utile ripercorrere le linee di funzionamento del modello universitario di Ermini oggi che non si sa più a quale modello fare riferimento, tanto sono saltati parametri e direttive, obiettivi e strategie? A chi obiettasse che la storia non si fa con i recuperi dal passato di monumenti a suo tempo innalzati, si può tranquillamente rispondere che sia la rinascita post bellica dello “Studium” sia il suo incremento fino alla metà degli Anni Settanta del secolo scorso non sono stati certo un dono piovuto dal cielo né una concessione scontata dell’empireo democristiano al senatore Ermini. Non sappiamo, se ha un senso istituire paragoni del genere, quale situazione sociale ed economica sia più critica: se quella attuale o quella nella quale Ermini ha sviluppato il suo modello. Sta di fatto che oggi la politica, la scienza e la burocrazia sembrano giocare, a proposito dell’Università, una partita non in grande stile come l’ha giocata Ermini, ma un match di rimessa, tutto in difesa, contratto rispetto a un attacco avversario fatto soprattutto di pesante concorrenza da parte di piccole, grandi Università proliferate senza controllo intorno all’Umbria. Se la stessa vicenda dell’ostello a San Bevignate non si legge entro questa problematica, a quale piccolo cabotaggio riduce e può ancora ridurre tutti coloro che si alternano con opposte ricette intorno a un evento che, di fatto, va in scena, per ora, a due passi dal cimitero di Perugia?

I “campus” – o le strutture ad essi assimilabili – che Ermini aborriva sono sorti da tempo lontani da quell’acropoli di palazzi e residenze che il “Magnifico” aveva progettato e realizzato per far decollare la sua Università. Oggi, probabilmente, a dolere di più, per assurdo, non è l’Università di massa della periferia perugina, ma quella desolatamente vuota e priva di intraprendenza del centro della città. La periferia universitaria ha connotati di massa, ma con numeri in costante declino, mentre il centro studentizzato ha connotati di autentico spreco, se si considera, ad esempio, la didattica ad personam di certi Dipartimenti che gravitano nell’area circostante la Piazza dedicata al “Magnifico”.

Ermini, dunque, ripartirebbe da qui, invocando con severità e rigore la ripresa di una credibilità dello “Studium” ricalcata sulle origini trecentesche e anche, con qualche naturale orgoglio, sui “fattori di successo” che a lui stesso era riuscito di mettere in moto. E questi fattori erano, come disse nel 1968, al Convegno di studi umbri, a Gubbio:“una seria e ardita e moderna struttura organizzativa e di funzionamento, assicurata alla istituzione dalla perspicacia, dall’intelligenza e dall’amore dei responsabili della vita cittadina di Perugia e dai cittadini stessi; una oculata e saggia chiamata alle cattedre di insegnamento di uomini aperti, senza vincoli di pregiudizio, alle aspirazioni più vere della società del tempo, e di conseguenza protesi con ogni loro energia nello sforzo di rispondere alle esigenze di quest’ultima, come creatori di un nuovo diritto”.

Se, però, già il cuore dello “Studium” non si rifà a quelle pagine di storia delle quali abbiamo detto fin qui, che cosa mai potrà essere della periferia universitaria, compresi gli ostelli annessi e sballottati da un angolo all’altro della storia della città?

Per la periferia, però, occorre ancora puntare su quella “seria e ardita e moderna struttura organizzativa e di funzionamento” che Ermini poneva a fondamento della sua cittadella universitaria eretta sull’acropoli. Il dibattito non può che ripartire da qui, a meno che qualcuno, nei decenni di fine secolo e negli anni a noi più vicini, non abbia conteso a Giuseppe Ermini, potendolo dimostrare, il suo scettro di illuminata e insuperabile visone delle cose.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.