Letture. Eleonora
di Maurizio Terzetti / Di ritorno dall’allenamento, Gianfranco era rimasto sorpreso vedendo che ad aspettarlo c’era Eleonora. Sudato com’era, aveva provato disagio di fronte alla bellezza della donna.
“Buongiorno, signora” farfugliò il ragazzo frenando delicatamente e reggendosi ben saldo sulla bicicletta “mi scusi per il fiatone… ma ho voluto provare la salita…”
“Non si scusi, Gianfranco. La capisco” rispose lei con voce calda e carezzevole, sfilandosi i grossi occhiali da sole e facendoli ruotare fino quasi al naso del giovane ciclista.
“Sono passata io” riprese “perché Ada è stata convocata dall’organizzazione del Festival con un certo anticipo sul previsto e ha dovuto raggiungere in gran fretta le altre concorrenti”.
“Sull’isola?” la interruppe, non volendo, Gianfranco.
“Sì, caro, sull’isola” rispose Eleonora portando la sua destra delicatamente sulle mani del ragazzo, incrociate sul manubrio.
“Stia tranquillo, Gianfranco. Se non sto io in apprensione io che sono la madre…” proseguì la donna accentuando un tenero sorriso, quasi materno, in direzione degli occhi del ragazzo. Gianfranco, invece, in apprensione lo era. E anche qualcosa di più dell’apprensione lo tormentava, ormai, da qualche giorno. La sua graziosa Ada, con la quale era fidanzato, si può dire, da quando erano due bambini, era molto cambiata. Da quando aveva deciso di partecipare alla selezione regionale per “Miss Italia”, il timido ragazzo, forte sui pedali ma debole nel trattare i sentimenti, la trovava diversa, le vedeva dei modi di fare, delle pose, dei vezzi che non trovava naturali. Ed era incupito, come tutti i timidi, esponendosi al comportamento risoluto alla ragazza che aveva finito per scambiare come duro e ostile, infastidito e, a volte, indifferente.
“Via, Gianfranco, non faccia il geloso” riprese Eleonora avendolo visto così scuro in volto “vedrà che ad ottobre la nostra Ada avrà vissuto il suo momento di gloria, miss o non miss, e sopra ricominciare l’anno scolastico 1955-1956 con tutto lo zelo della giovane maestra che lei conosce”.
“Magari fosse così, signora. Ma io credo, la mia educazione mi dice, che Ada ha ormai altre idee per la testa. Mi accorgo che siamo ogni giorno più distanti” rispose Gianfranco asciugandosi una goccia, forse di sudore, forse una lacrima.
“Certo che potete sentirvi distanti” replicò con molto tatto Eleonora “mia figlia è decisa a far valere tutta la sua bellezza, lei ha preso questo Giro dell’Umbria come un momento decisivo per il passaggio al professionismo. Dunque…”
“Sì, signora, lei ha ragione” ammise Gianfranco abbassando gli occhi e arrossendo sul volto già molto accaldato “mi creda vorrei che Ada diventasse proprio Miss Italia, sarei disposto a rinunciare al mio professionismo pur di vedere lei sul podio più alto”.
“Lei è davvero molto buono” gli rispose Eleonora chissà perché tornando a infilarsi quei grossi occhiali scuri, che la facevano ancora più attraente nei suoi quarantacinque anni portati molto bene. Aveva anche ritratto la sua destra dalle forti mani del ragazzo, lasciandola scivolare con una delicatezza imbarazzante. E le era rimasto sul palmo aperto il sudore atletico del ciclista, un’avvenenza che si trasmetteva in maniera palese, senza che nessun venticello riuscisse ad asciugarla, a placarla.
“Senta, Gianfranco” si riprese Eleonora “se rimaniamo a parlare qui, non combiniamo nulla, né lei né io. Lei dovrà riposarsi un po’, io dovrò pur andare da Ada: hanno detto che per l’ora di pranzo sarebbero tornati dall’isola…”
E Gianfranco, da buon ragazzo umile e ubbidiente, ragionò come gli aveva suggerito la signora Eleonora. Si lasciò convincere ad andare a rinfrescarsi, mentre lei entrava lentamente nella Seicento, accomodandosi con discrezione le gambe ben unite.
Una mezz’ora dopo, Ada scendeva dal battello. L’accompagnava Federico, un personaggio, poco più che trentenne, che nell’organizzazione del concorso non aveva nessun incarico particolare, ma che approfittava dei suoi evidenti tratti da impenitente conquistatore di donne per infilarsi tra le concorrenti, alla ricerca di qualche loro punto debole sul quale fare breccia per promettere fasulli miraggi ripagati, naturalmente in anticipo, con mirate attenzioni sentimentali. A Eleonora Federico non piaceva, ci sentiva per intero l’inganno che Ada non riusciva più a scrollarsi di dosso. Forse Gianfranco ha ragione – rifletteva dentro di sé mentre i due ragazzi venivano verso la sua Seicento – questo Federico sta rovinando mia figlia, sta distruggendo i suoi sogni. E Gianfranco, purtroppo non ha il mastice per ricomporli.
Era molto dispiaciuta, Eleonora, e non seppe trattenersi dal fare una scenata alla figlia, quando Federico, avvertita l’ostilità della signora, si fu allontanato per un momento.
“Insomma, Ada, voi andate sull’isola in gran segreto e dobbiamo fidarci” insisteva Eleonora “lì i giudici vi guardano con maggiore attenzione che davanti al pubblico, sulla terraferma. Qui, sulla passerella, siete e sarete vestite come si deve, lì, sull’isola, lo so che vi guardano in due pezzi, com’è giusto che sia. Il pubblico è un po’ cannibale, non gli si può offrire carne fresca e nuda di ragazza. Spero solo, anzi ne sono convinta, che quelli lì, della giuria, non saranno inguaribili guardoni. Ma quel Federico, lui, che c’entra, perché anche lui, così cannibale, è ammesso allo spettacolo?”
Eleonora s’era proprio infervorata, ma Ada era proprio persa dietro quel cicisbeo, uno capace solo di sedurre e di abbandonare. Continuarono a parlare a pranzo, poi non ne ebbero più il tempo, Ada fu ripresa dalle riunioni delle concorrenti e Federico la seguiva di nuovo con un’insistenza che Eleonora non aveva mai visto ugualmente pertinace e sbruffona.
A sera, lì, sul molo, arrivarono proprio tutti: Giorgio, il marito di Eleonora, ragioniere in Provincia, due suoi colleghi di lavoro con relative consorti, la zia paterna di Ada e un’amica sciocchina sciocchina. Avevano deciso di fermarsi tutti a cena, il pesce del Lago era ancora una novità per i pasti di quei perugini di borgo. Il gruppo fece un baccano inenarrabile, Giorgio e i suoi colleghi, ormai un po’ sbronzi, provarono persino ad avvicinare il dottore e l’ingegnere che facevano parte della giuria, ricevendone uno scostante saluto palesemente infastidito.
A sorpresa, arrivò anche Gianfranco, scuro in volto e turbato più ancora che a mezzogiorno, quando l’aveva visto Eleonora. Si fece una confusione tale che intervenne il proprietario del ristorante per separare la combriccola: Giorgio e i suoi amici si erano messi a importunare due concorrenti, la zia di Ada bisticciava con la moglie di un signore del tavolo accanto al quale, a detta dell’offesa, aveva mostrato un sorriso ammiccante, le consorti dei colleghi di Giorgio avevano trovato il modo di infastidirsi e di beccarsi. Ma, soprattutto, Gianfranco, dopo qualche parola con Ada, stava per rifilare un sonoro pugno a Federico quando Eleonora, vero angelo in mezzo a tanta lordura, riuscì a trattenere il braccio ormai steso per il colpo e a stringergli delicatamente il polso vigoroso. Il ciclista era tornato un agnellino, si lasciò coccolare il braccio fino a distenderlo e provò posare la testa sul collo di Eleonora che, ormai senza occhiali, gli riservava, nella penombra, uno sguardo più che mai amorevole. Nessuno fece caso a questa particolare dimostrazione d’affetto fra un ragazzo poco più che ventenne e una intensa signora quarantacinquenne. I due si allontanarono un po’, raggiunsero la fine del pontile e stettero lì, per qualche minuto, le mani staccate a guardare il Lago. Né Il marito di Eleonora, né la sua spavalda combriccola, s’erano turbati più di tanto. Anzi, erano partiti tutti. Anche Ada, per la prima volta, aveva congedato Federico in malo modo, e, raggiunti la madre e Gianfranco, li aveva abbracciati entrambi. Eleonora s’era defilata quando aveva visto una lacrima spuntare negli occhi della figlia. Il rude ciclista e la tenera maestrina si abbracciarono di nuovo, si baciarono. E lei si allontanò, chiusa come sempre nella solitudine del suo affetto.