LEVANTE. Considerazioni del mattino 4 OTTOBRE

di Maurizio Terzetti
Oggi, ad Assisi, in ricordo del Patrono d’Italia, è come se il mondo si dovesse fermare: festoso, pensoso, religioso, un cerimoniale di altissima evidenza mondiale chiude in un bozzolo di nazionale fraternità il voto che si fa, verso san Francesco, di essere “più” in ogni espressione della convivenza umana. Più imparziale il giudice, più pago del guadagno il commerciante, più affidabile chi fa politica, più padre che padrone l’imprenditore, più comprensibile l’uomo di cultura, più docile il guerrafondaio, più sincero l’amico, più ricco il cuore della famiglia, più accogliente un convento, più non lasciata morire in un angolo la solitudine che tutti, in qualche modo, ci portiamo dentro.
San Francesco, quest’ultimo “più” lo ha sentito con particolare dolore nel suo animo giovanile e lo ha profetizzato nel suo stanco cuore prossimo a fermarsi. Dobbiamo – sembra dirci ancora – fare in modo che il “più” di solitudine che ci portiamo dentro diventi in qualche modo il “meno” di indifferenza di ogni nostro progetto di vita.
Un “minore”, un seguace di san Francesco, ieri come oggi, è forse proprio questo interprete del bisogno di allentare la presa della solitudine e dell’indifferenza sull’anima di ciascuno di noi: “Più non lasciarmi, Signore, nello stato di non sapere che cosa fare, solo con i miei dubbi e le mie angosce. Che io sbagli, che io mi muova nel giusto: qualunque cosa, Signore, purché il mio animo si muova da questa incertezza egoistica che mi rode come un tarlo ogni mattina e che a sera non mi fa prendere sonno. L’indicazione, se viene da te, non può che essere giusta e sarà cantata in tua lode”.
Potrei provare a pregare così, oggi, festa di san Francesco, con san Francesco, stando lontano dagli impegni, spesso fatui, di essere qualcosa di “più” in tutto verso gli altri e rendendomi conto, invece, di essere sempre “poco” o “meno” impegnato del dovuto, con me stesso, a sollevarmi dal pagliericcio della mia solitudine.
Oggi, ad Assisi, in ricordo del Patrono d’Italia, è come se il tempo si dovesse fermare, quel tempo che, al contrario, tanto ci serve per riempirne le nostre vite, in ogni istante, e per chiudere i conti, una volta per tutte, con la solitudine e con l’egoismo che ci impediscono, alla radice, di essere qualcosa di “più” verso gli altri.

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