LEVANTE. Considerazioni del mattino IL RITORNO ALLA REALTA’

di Maurizio Terzetti
La contesa è tutta, ancora, fra terremoto e territorio. Mi sembra, per quanto confusamente, di avvertire come fondamentale e prioritaria questa divaricazione. Io, che pure vivo lontano dai luoghi della tragedia, senza voler indicare a nessuno un’ipotesi e un progetto, io, incapace e forse impossibilitato a portare una qualche forma di sostegno a chi soffre, mi permetto, perché questo lo sento profondamente e istintivamente, di usare quelle due parole – terremoto e territorio – perché credo che stiano nella frattura fra di esse tanto la distruzione e la morte quanto il graduale ritorno alla realtà che vivono i superstiti del sisma di due notti fa.
I pochi amatriciani che sentiamo parlare si sentono traditi dal terremoto, traditi, intendo, nel loro possesso del territorio, certamente anche per questa o quella casa che è andata giù, ma soprattutto per la loro identificazione quotidiana e simbolica in quell’ambiente, in quel paesaggio alla cui negazione, da parte del terremoto, non si riesce ancora – e per generazioni non si riuscirà ancora – a credere. Nell’animo della gente, lo sgomento per la perdita del territorio si salda al dolore viscerale per la perdita degli affetti quel tanto che basta per creare il cerchio di disperazione che vediamo negli occhi di chi accetta di parlare, quasi una pupilla nuova e drammatica aperta sul giorno che comunque avanza e, per fortuna o per disgrazia non si sa guardando bene quei volti, si ripresenta.
C’è, nell’etimologia mai tanto approfondita, della parola “territorio”, il connotato pieno, insostituibile, del possesso materiale e spirituale di un luogo. La parola “territorio”, ce lo diciamo spesso, è molto abusata, usta a sproposito, messa lì ogni volta che dobbiamo aprire o chiudere una frase e non vogliamo sforzarci troppo per trovare qualcosa di linguisticamente più appropriato.
I più critici nei confronti di essa vogliono – e giustamente – che si parli di “ambiente”, di “paesaggio” al posto di quel fastidioso e generico “territorio” che torna molto utile al cortocircuito politico e amministrativo con cui vengono fatte le leggi ed emanati i provvedimenti.
La gente che ha subito un terremoto, nella fase immediatamente seguente alla crisi, ad esempio oggi, propriamente oggi, ci insegna, invece, il valore che ha, e che deve riprendersi, la parola “territorio”. Anche se non la esprime e non la pronuncia direttamente, a me pare chiaro che la gente di Amatrice e dei paesi sconvolti dal sisma abbia negli occhi solamente la visione tradita di un territorio amato, che va amato più che mai proprio perché straziato da una potenza, estranea e sotterranea quanto si vuole, ma sempre ritenuta, in superficie, in qualche modo solidale con la civiltà e la quotidianità costruite nei secoli.
Certo, queste considerazioni sono niente affatto progettuali, ma intanto sono quelle che si può ritenere facciano i veri protagonisti del nuovo che s’intende costruire e non fosse che per questa sola credibile ipotesi andrebbero fatte proprie intimamente da chi prima o poi prenderà in mano le leve della ricostruzione antisismica.

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