LEVANTE. Considerazioni del mattino LA PERSUASIONE

di Maurizio Terzetti

Ha scritto Platone: «Di per sé, il confondersi di uno Stato con un altro comporta un totale rimescolamento dei costumi, perché uno straniero è per un altro straniero fonte di novità. In tal caso il danno peggiore lo riporterebbero le società ben organizzate sulla base di una saggia legislazione; invece per la maggior parte degli Stati che sono male amministrati, non fa alcuna differenza mescolare i cittadini, dando ospitalità agli stranieri, oppure permettendo che i cittadini, giovani o vecchi che siano, facciano scorribande in altre Città, tutte le volte che desiderano viaggiare all’estero, quando e dove vogliono» (Le Leggi).

Un pensiero di una attualità straordinaria, specie per la giornata di oggi in cui si mescolano, appunto, tanto il ricordo della strage di Lampedusa quanto le notizie del referendum ungherese sui migranti.

Platone distingueva tra Stati ben governati e Stati non altrettanto ben governati da leggi giuste: l’impatto di quelli che oggi diremmo migranti sui primi era in grado di provocare danni alla società e alla sua organizzazione – sosteneva –, mentre, realisticamente, in una situazione già deteriorata e compromessa da pessime leggi i migranti non potevano arrecare più danni di quelli già esistenti nel paese di approdo.

Non c’era, perciò, nessun motivo plausibile per vietare l’accoglienza perché, prima di tutto l’ipotesi di Stati ben governati era, per Platone, del tutto funzionale ad accreditare l’utopia verso la quale tendere (insomma, di Stati ben governati, allora come ora, in giro non ce n’erano) e poi perché tutto il consesso, che oggi diremmo mondiale, di Stati mal governati non s’aspettava altro che accoglienza, anche se molto squilibrata da fattori economici e politici: «Da un altro punto di vista, però, non si può neppure vietare del tutto l’accesso agli stranieri o i permesi di espatrio, perché agli altri uomini apparirebbe un provvedimento incivile e barbaro, quello che fa ricorso alle dure parole dei cosiddetti bandi degli stranieri e ad atteggiamenti che avrebbero tutta l’aria d’essere arroganti e prepotenti. In ogni caso, non bisogna sottovalutare l’importanza d’avere buona o cattiva immagine davanti al resto degli uomini».

Il discorso calza alla perfezione con la situazione odierna.

C’è un punto, però, dove tutto il castello razionale di Platone, non certo per colpa sua, scricchiola: gli Stati moderni non solo non tendono più all’utopia di scrivere leggi giuste, ma ritengono di essere così ben governati da avere creato un nuovo modello in base al quale l’integrazione e l’accoglienza di stranieri nei loro confini non solo non arrecano danni, come pensava Platone, ma anzi apportano benefici.

Questa è pura aberrazione: perché nascondersi che gli Stati occidentali non sono del tutto ben governati, che non hanno leggi adeguate e razionali sull’accoglienza, che devono fare, alcuni sì altri no, i salti mortali per non creare le tragedie come quella di Lampedusa, che si scaricano o rifiutano come merci gli stranieri, che fanno un danno a loro stessi pensando di essere fra loro solidali e uniti nell’Europa, che non perseguono l’unica via che Platone suggeriva in questi casi: la semplice persuasione?

Questa, solo questa persuasione, verso la gente sempre più diffidente nei confronti degli stranieri e come equilibrio per gli eccessi, sul fronte opposto, di un prodigo volontarismo che non si sa mai quanto sia realmente motivato: «Si presenta la necessità di decidere come comportarsi nei casi di viaggi all’estero di nostri concittadini e di asilo da concedere a stranieri provenienti da altri Stati. Su questa materia è bene che il legislatore si limiti a dare consigli per cercare innanzi tutto e per quanto è possibile di servirsi della persuasione».

 

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