LEVANTE. Considerazioni del mattino LO STAGNO DI LUGNANO
di Maurizio Terzetti
Per fare cultura è necessario essere impresa. L’Umbria, con la serie gloriosa dei suoi Festival, lo sa e lo pratica alla perfezione. A volte, però, l’impresa è così preziosa che è la cultura a dovere seguire il modello produttivo più di quanto dovrebbe fare l’impresa, essere cioè guidata da un disegno culturale. Chiude il ragionamento un salomonico bilanciamento fra cultura e impresa, assistito e prodotto da molti interventi pubblici di salvataggio.
Pare, invece, che a Lugnano in Teverina tutti questi meccanismi siano saltati perché stasera prende il via la prima edizione della rassegna “Water plays – Tre performances sull’acqua”, che ha per punto fermo e principale l’assoluta liceità della proposta teatrale realizzata senza essere impresa, ma solo volontà culturale di vicinanza estrema con il pubblico e con la natura. Tre attrici recitano ai bordi di uno stagno e fanno “anfiteatro” con chi andrà ad ascoltare le loro storie, che riguardano Giovanna d’Arco, Il Piccolo Principe e Aiace.
“L’Anfiteatro dello Stagno” è il nome dato a un piccolo luogo acquatico situato nell’area privata circostante il casale di Arturo Annecchino, il compositore e pianista venezuelano naturalizzato italiano che ha fatto di Lugnano la sua residenza.
I mezzi tecnici a disposizione delle attrici sono quattro proiettori teatrali a led e una valigia sonora per diffondere le drammaturgie musicali di Annecchino. Nient’altro. È previsto un biglietto per venire incontro allla rigorosa autoproduzione della rassegna e per partecipare al momento conclusivo delle serate (“Water plays” si svolge nei giorni di oggi e di domani) che consiste in un pasto da consumare sulle pietre dell’antico lavatoio situato appena sopra lo stagno.
Chi assisterà agli spettacoli ci dirà le sue impressioni.
Qui voglio solo far notare che questa moneta creativa non ha più circolazione in Umbria da tempo immemorabile. Eppure poche terre come l’Umbria hanno avuto, nei secoli, gli scenari giusti per creare dal nulla spettacoli teatrali a tutti gli effetti. Ora, lo Stagno di Lugnano è rimasto, sembra, il solo patrimonio naturale di un genere molto diffuso, ma non ricercato e non utilizzato, che potremmo chiamare “luogo di manifestazione”, cioè sito in cui qualcosa di naturale e di incorrotto semplicemente si manifesta e non è oggetto di una manifestazione creata culturalmente con il ricorso all’impresa.
Non mi interessa tanto che la partita si giochi sul fatto che uno spazio naturale non convenzionale è capace di trasformarsi in una scena teatrale a tutti gli effetti. Questo appartiene allo specifico teatrale, che non è il solo ambito spettacolare su cui agire: musica, poesia, narrazione e via citando si potrebbero aggergare all’ “impresa”.
Mi piace, piuttosto, considerare lo Stagno di Lugnano come un esempio in grado di far venire alla luce, magari per la prossima estate, una miriade di luoghi umbri (ad esempio, siti archeologici, piccoli laghi sul tipo dell’Aiso di Bevagna, piccole piazze cittadine, orti e giardini, boschi con radure, sommità di montagne) i cui titolari sottoscrivano l’impegno di organizzare nei loro spazi altrettanti appuntamenti di una rassegna autoprodotta di genialità locali e di storie delle comunità locali, favole alle quali dare il sapore della contemporaneità e l’interpretazione della memoria dimenticando per qualche sera il fatto che la cultura debba per forza essere impresa.