LEVANTE. Considerazioni del mattino ORA ET LABORA
di Maurizio Terzetti
Alcune tavole rotonde continuano anche stamattina, quando ormai tutta l’attenzione è concentrata sull’arrivo di Papa Francesco. “Sete di pace” ha conosciuto, ieri, un simultaneo svilupparsi di “lavori” in ogni luogo significativo di Assisi che non è stato sufficiente a esaurire l’offerta di dibattiti collegati all’evento interreligioso organizzato per i 30 anni della Giornata di preghiera indetta da Giovanni Paolo II.
Domani si parlerà molto del cuore di preghiera di “Sete di pace”. Oggi, intanto, non si possono non fare alcune considerazioni sul carattere fortemente dottrinario del “lavori” in cui si è articolato il programma del meeting.
Poiché il motto benedettino “ora et labora” vale ancora molto anche laddove si preferisce comunicare gli eventi all’insegna della lingua inglese, credo che sia proprio esso a spiegarci che cosa è stato, finora, “Sete di pace”: un immenso laboratorio, appunto, una piccola università del sapere sulla pace, un formidabile campus intellettuale. Un lavoro, insomma, che ha avuto il grande pregio di allargare conoscenze attraverso testimonianze, ma che è stato condizionato dal tentativo di lavorare, come si dice, intorno alla preghiera, di fare della preghiera un oggetto di studio.
Un’università, dunque, con dotti francescani? Non solo, perché la componente dell’intellettualità e della comunicazione francescana ha condiviso il campo con esperti e testimoni di altre culture e di altre fedi.
Ne è venuta fuori, in qualche modo, un’edizione del “Cortile dei Gentili” particolarmente tagliata sul problema della preghiera, dunque meno ricca di effetti culturali laici e spettacolari e, invece, profondamente segnata dal tipo di interventi che sarebbero stati congeniali, ad esempio, a margine della “Marcia della Pace Perugia – Assisi”: molto riflessivi, pensosi, austeri, dignitosi, sobri, dialoganti e non confessionali.
Difficile negare che l’impianto al quale hanno messo mano la Comunità di Sant’Egidio, le Diocesi e le Famiglie Francescane sia stato qualcosa di diverso da ciò. Ma diversamente da così oggi un evento di questa portata non può essere pensato, né la Città di Assisi dimostra l’intenzione di progettare format complementari a questa marca fortemente metropolitana che ha veicolato “Sete di pace”.
Semmai, c’è da chiedersi, davvero, se, a poche settimane di distanza, un appuntamento così complesso come quello che si conclude oggi con la visita di Francesco non rischi di ridimensionare forme e contenuti della “Marcia della Pace”, alla quale, addirittura, nei giorni scorsi si è avuto il coraggio di aggiungerne un’edizione notturna. Va bene che l’ecumenismo, ad Assisi, sembra non avere confini di nessun tipo organizzativo e dà sempre ottimi risultati e significative conferme, ma oggi mi sembra che si stia innescando un processo culturale inflattivo intorno alla pace del quale bisognerà pure prima o poi tenere conto.
E, per finire, alcune considerazioni sulla preghiera “studiata” nel corso della due giorni di “Sete di pace” e della disseminazione urbana di panel che l’hanno arricchita.
Rimango dell’avviso che la preghiera non può essere oggetto di studio e di analisi oltre il lecito domandarsi che cosa sia e come si pratichi da ognuno, credente o non credente. Ritengo, in particolare, che non possa essere confusa con nessun impianto di comunicazione, che non sia dialogo più di quanto non valga come soliloquio, cioè che solo se è interrogazione profonda e semplice di se stessi possa affrontare il terreno, anche operativo, del dialogo. Ma questo avrebbero dovuto spiegarcelo e dircelo alcuni umili pensatori, qualche poeta, una comitiva di mistici, una riunione di eremiti tolti a forza dal loro isolamento. Tutte persone che sono mancate e che, un’altra volta, potrebbero essere invitate, magari togliendo quel termine panel che mai capirebbero.