RICORDI PRESIDENZIALI. GIOVANNI GRONCHI

di Maurizio Terzetti / Con Giovanni Gronchi, per la prima volta nella storia politica italiana un cattolico militante veniva eletto alla Presidenza della Repubblica.

Per la sua elezione, come ha puntualizzato Luciano Radi, “votarono moltissimi DC, dei comunisti, dei socialisti e dei parlamentari delle destre” (L. Radi, La DC da De Gasperi a Fanfani, 2005) e lo stesso Nenni potè scrivere nel suo Diario che quell'elezione era in gran parte opera sua.

Sono molteplici i fattori che identificano la presidenza di Gronchi come “di svolta”, di chiusura, cioè, di una prima stagione della ricostruzione italiana e di avvio, lungo tutto il settennato, di quello che rimarrà nella storia come il “miracolo economico”: “Al di là del profondo travaglio interno della DC” - è sempre Luciano Radi a parlare - “la vicenda assunse un significato storico. Un cattolico al Quirinale, con il concorso dei grandi partiti popolari, superava ogni steccato del passato risorgimentale. Più che una vittoria delle sinistre, l'elezione di Gronchi segnò una sconfitta del gruppo dirigente fanfaniano e del governo neocentrista di Scelba accentuando la crisi irreversibile del post-degasperismo”.

Di fatto, lo stile con cui il Capo dello Stato si rivolge al Paese sta mutando radicalmente rispetto a quello della classe politica di ispirazione liberale che, con De Nicola e Einaudi, aveva portato a piena maturità radici culturali antichissime, quel “passato risorgimentale” di cui scrive Radi. Gronchi era consapevole che un'attesa di profondo rinnovamento, negli italiani, aveva accompagnato la sua elezione a Capo dello Stato, e così recepiva, nel primo messaggio rivolto al Paese il 10 maggio 1955, questo clima orientato al cambiamento: “Forse mai” - affermò - “e non credo che ombra di vanità mi faccia velo, la più alta istituzione della Repubblica è stata così vicina all'anima popolare, come in questo momento; mai un'ansia di rinnovamento si è levata a cuore aperto da ogni zona dell'opinione pubblica verso colui che ha ricevuto da una solenne indicazione del Parlamento il mandato per la suprema magistratura dello Stato”.

Gronchi è, ormai, talmente “personaggio”, col suo aspetto giovanile e il sorriso alla Kennedy, che incappa in gioie e dolori della nascente televisione, nella satira nei suoi confronti, nelle malevolenze per il famoso francobollo (il “Gronchi rosa”) stampato per errore e ritirato il giorno stesso dell'emissione e in tutta una lunga trafila di insinuazioni. Anche in questo la società italiana, i media italiani stanno cambiando.

Per quanto riguarda l'Umbria, Gronchi è il primo Presidente a visitare ufficialmente la regione, nel gennaio del 1958, in occasione delle celebrazioni del 650° anniversario di fondazione dell'Ateneo perugino.

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MESSAGGIO DI FINE ANNO AGLI ITALIANI

DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

GIOVANNI GRONCHI

Palazzo del Quirinale 31 dicembre 1961

“Italiani,

sono particolarmente lieto che questo incontro di fine anno, rinnovandosi ancora una volta, mi dia la possibilità di stabilire un contatto diretto con tutti voi. Ho detto particolarmente lieto perché il settennato della mia presidenza volge al termine; e, se non è ancora il tempo né, questa, la sede più appropriata per tracciare il consuntivo di una così lunga e complessa esperienza, l'inizio del nuovo anno offre oggi più naturalmente che d'ordinario l'occasione di trarre dal passato moniti ed auspici per l'avvenire.

L'Italia ha compiuto, specialmente negli ultimi due anni, straordinari progressi nella sua ricostruzione dopo la triste rovina della guerra, e questo 1961 lascia per chiari segni prevedere un consolidarsi del continuo accrescimento del volume del reddito nazionale, così da autorizzare le prospettive di un lungo corso della prosperità economica italiana.

Va riconosciuto che i benefici dell'accresciuta produzione di beni stanno estendendosi: diminuita la disoccupazione, rese più stabili le occasioni di lavoro per il grado di competitività raggiunto dalla nostra industria, che può guardare assai tranquillamente la progressiva liberalizzazione degli scambi internazionali e l'acceleramento dei tempi del mercato comune; la nostra moneta fattasi solida e stimata dovunque; gradualmente migliorate di alquanto le retribuzioni ed elevatosi con ciò il tono generale di vita.

Ma chi non fermi lo sguardo alla superficie dei fatti sente che sarebbe eccessivo ottimismo concludere che i progressi realizzati siano tali da darci l'intera tranquillità necessaria a far sì che allo sviluppo dell'economia proceda di pari passo lo sviluppo dell'ordine democratico del nostro Paese. In effetti è facile rilevare che perdura - e potrebbe forse dirsi che, per contrasto, si accentua - uno stato d'animo generale di disagio per l'andamento della cosa pubblica e per quanto rimane da fare, affinché possa realizzarsi una distribuzione più effettivamente equa del benessere tra i diversi gruppi sociali come fra le diverse regioni del territorio nazionale.

Una ripresa economica che abbia le dimensioni di questa dell'Italia crea condizioni favorevoli allo sviluppo di una ordinata lotta politica ed al consolidamento della libertà, pur dovendosi riconoscere che un progresso economico non porta sempre di per sé, per naturale conseguenza, progresso morale e civile.

Ciascuno si domanda se abbiamo profittato di tali condizioni favorevoli al raggiungimento di quei fini; ciascuno si pone il problema di quali orientamenti, quali metodi, quali sistemi siano nell'avvenire - avvenire prossimo perché il tempo non ha rispetto degli irresoluti o degli incapaci - i più adeguati per conseguire gli auspicati risultati.

Poiché questo problema è comune alla generalità dei cittadini, un Capo di Stato non può dispensarsi dal porlo a se stesso, s'intende nei termini in cui la Costituzione delinea i suoi compiti e le sue responsabilità. Il problema è 'politico' evidentemente, ma il modo di considerarlo può ben rimanere al di sopra delle concezioni e degli interessi dei partiti. Ed io sento di doverlo porlo anche a voi, perché dalle molteplici esperienze di questi anni possiamo insieme trarre ammaestramenti che rendano fondato l'auspicio di un sicuro progredire delle libere istituzioni che ci reggono, della nostra tranquillità sociale, delle possibilità di collaborazione feconda tra le forze che alle une e all'altra ci riconducono come alle premesse necessarie per realizzare, negli ordinamenti e nel costume, un'effettiva democrazia capace di risolvere i problemi che allo Stato vengono posti di continuo dalla dinamica della vita moderna.

L'attuale ripresa italiana che ha pochi termini di confronto non tanto nella storia economica del nostro Paese che mai ha attraversato periodi di tanta prosperità, ma in quella di altre nazioni più ricche e più potenti, è bensì un prodotto delle capacità di lavoro, della genialità creativa, dell'acquistata esperienza tecnica e organizzativa del popolo italiano nel suo insieme; tuttavia queste singolari doti, che ci sono finalmente riconosciute anche all'estero, non avrebbero potuto raggiungere tanto risultato se l'azione di impulso e di sostegno dei pubblici poteri non vi avesse, pur con le sue deficienze, contribuito.

Ora, se il problema la cui 'presenza' ognuno sente oggi, è di rendere permanente, attraverso un continuo progredire, la sicurezza di un equo benessere per tutti, insieme alla sicurezza delle libertà civili, l'impegno che si richiede è di rendere sempre più operanti i presupposti di una democrazia solidamente organizzata: cioé l'efficienza delle istituzioni, il retto funzionamento dei rapporti fra Governo e Parlamento, fra Parlamento e Partiti, così da assicurare la maggiore stabilità dell'esecutivo sorretto dalle forze politiche e parlamentari capaci di garantirla senza faticose alchimie, e insieme il pieno esercizio del controllo parlamentare e costituzionale, in sostanza, la completa attuazione, nella lettera e nello spirito, della Costituzione.

Quando si è insofferenti della frammentarietà dei provvedimenti e delle troppe volte riscontrata tendenza a considerare i problemi per l'urgenza del giorno per giorno, quando si riempiono pagine di libri e riviste e giornali e si abbonda nel far materia di conversazioni private e di discorsi pubblici, della deficienza di visione organica dei problemi e della conseguente lentezza nel predisporre programmi e piani che inquadrino, dirigendole al fine dell'interesse comune, le iniziative private e le pubbliche, ogni anche onesta critica resta vana se, oltre al segnalare, chi può e chi deve in ogni ordine e campo di responsabilità non cooperi a rimuovere le cause delle deficienze lamentate, posponendo gli interessi personali e di parte a quelli della Nazione. E le cause che sono, più o meno chiaramente, dinanzi alla mente di tutti si riassumono in una: quel complesso di norme, di rapporti, di reciproco controllo a cui dianzi accennavo non ha ancora trovato stabile assetto nella nostra giovane repubblica. E di tale deficienza tutto risente: dalla funzionalità dell'amministrazione alla moralità della vita pubblica, dalle contrastate difficoltà delle scelte economiche e politiche alla capacità dello Stato di imporsi alle concentrazioni della ricchezza quando tendono ad ottenere o conservare privilegi a danno del benessere comune.

E' stato detto da più parti, e giustamente, che soltanto un solido sistema di libertà organizzate, accettate e rispettate per consenso comune può assicurare, pur nella vicenda inevitabile delle cose politiche, la rispondenza delle decisioni adottate dai poteri responsabili agli interessi della gente comune, di quella che lavora e non gode ricchezze, e con ciò il progressivo miglioramento delle condizioni di vita e la permanenza delle conquiste sociali, il superamento di ogni arbitrio e di ogni anarchia all'interno e nella convivenza internazionale, a una concreta possibilità di pace fra le 'classi' e fra le nazioni”.

Italiani,

non so se quest'anno l'auspicio ha reso troppo da vicino l'aspetto di un sermone. Qualcuno aggiungerà di un sermone assai noto, poiché la coscienza delle mie responsabilità mi ha indotto talvolta anche a ripetere le medesime cose. Ma questa volta il sermone non era nelle mie intenzioni; accoglietelo dunque come auspicio, e come invito a tutti a collaborare affinché esso si avveri.

L'invito è necessario, anche per conferire all'Italia verso le altre nazioni autorevolezza e prestigio che le consentano di far ascoltare la sua voce nelle controversie più aspre e più gravi di pericoli per la pace. Anche nel campo internazionale la collaborazione è una legge; anche qui nell'interesse di tutti. Collaborazione che sia giusta gerarchia ma non acquiescenza o molto meno soggezione, e che trova noi italiani sinceramente pronti, forse più di ogni altro.

Nel segno di questo generoso e lungimirante intento comune, lasciate che vi auguri o concittadini di ogni ceto e di ogni parte d'Italia, un anno sereno per voi, per le vostre famiglie, per la Patria nostra.

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