SPOLETO. UN’ESTATE CONTINEN(TALE) E QUALE

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti/ Mentre, lasciata Spello, si dirigeva a Spoleto percorrendo la vecchia via Flaminia, Nostradamus mi ha fatto la proposta di prendere il suo posto in alcune pagine di cronaca politica e culturale per “Umbria domani”. “Già a partire dal prossimo articolo che ho annunciato per Spoleto” – mi ha detto “mi piacerebbe che tu firmassi in prima persona i pezzi che, finora, ho elaborato avendoti al mio fianco in queste divertentissime passeggiate per l’Umbria”. Lui resterà, mi ha precisato, per firmare alcuni editoriali, varie opinioni, ma ritiene che questo spazio di analisi della realtà culturale umbra sul quale ci siamo mossi insieme negli ultimi mesi possa essere occupato da me. Ho ringraziato Nostradamus dal profondo del cuore e, con lui, i responsabili del giornale per la fiducia riposta nella mia penna. Ho solo chiesto di continuare a viaggiare insieme con lui per l’Umbria, di condividere, come abbiamo sempre fatto, gli appunti e le osservazioni che passano dal taccuino all’articolo, di dare un ultimo occhio insieme al pezzo prima di inviarlo per la pubblicazione.

Questo non formale passaggio di consegne fra Nostradamus e me è avvenuto senza che ci fermassimo per una sosta: continuavamo a camminare verso Spoleto e, chiusa la parentesi dell'offerta della firma con un abbraccio, abbiamo candidamente ripreso a parlare dell'argomento che adesso si leggerà nel resto dell'articolo.
Nostradamus rifletteva sul fatto che né Perugia né Spoleto hanno mai pensato a sviluppare grandi rievocazioni in costume dei periodi che hanno caratterizzato la loro storia. Poteva farlo Perugia con la “battaglia dei sassi”, poteva farlo Spoleto con i costumi longobardi. Questo modo di fare cultura e spettacolo insieme – concludevamo – è ormai passato, non sarà mai più possibile riproporlo, sarebbe anacronistico. Foligno e Assisi si tengono stretti i loro “festival” seicentesco e medievale, Gubbio si dedica con passione immutata al rituale dei Ceri, ma Perugia e Spoleto non hanno, nei loro anelli culturali, pietre altrettanto preziose e redditizie. Tutto è stato puntato, nel capoluogo, su Umbria Jazz, sul Festival dei Due Mondi nella città che più di tutte ha conteso a Perugia il primato sull'Umbria. E, oggi, non sarà anche per questa sproporzione fra il Festival internazionale e la routine culturale identitaria del luogo che le due città – Perugia e Spoleto – non riescono a trovare un equilibrio dinamico, una lenta, ma costante propulsione nel loro marketing turistico-culturale estivo? E, dunque, quali segnali dà la nuova amministrazione del Comune di Spoleto, anch'essa catapultata, come Perugia, sul proscenio estivo senza avere avuto il tempo di progettare per tempo il suo “dopo Festival”?
Gli spoletini sono diversi in questo dai perugini: non ospitando il centro del potere politico umbro, non si sentono particolarmente legati a vestire i panni del capoluogo (di Provincia e di Regione) e l'essere, anche, molto più vicini di Perugia all'area di influenza romana li rende disponibili a mostrarsi – senza sacrificio della loro identità – come parte di una mai morta “estate romana”.
In questa direzione, per lo meno, hanno operato, con esiti non sempre all'altezza della situazione, le amministrazioni succedutesi fino alla recente débâcle elettorale. Il fatto che l'uomo di svolta nel rilancio del Festival dei Due Mondi – Giorgio Ferrara – sia di riferimento intellettuale romano dovrebbe continuare a orientare le scelte della nuova amministrazione verso la tessitura "romana" di legami, sottili e profondi, in grado di tenere insieme Festival e “dopo Festival”, se questo appare ancora oggi il problema di fondo della creazione dell'offerta culturale della Città di Spoleto.
Ma di tutto ciò, cosa si vede oggi, a meno di due mesi dal ricambio istituzionale di giugno?
Per mia natura, sono incline a guardare il pacchetto complessivo dell'organizzazione culturale di un Comune, vale a dire le sue articolazioni stagionali. Non mi interessano i soli fuochi estivi e, con questa accondiscendenza mostrata già per Perugia, guardo al divenire della nuova proposta culturale spoletina almeno esteso su tutto il 2014, senza fare lo sterile censore di un'estate che decolla lentamente, affidandosi all'ultima bolla di calore agostana (anche di queste bolle, fino a qui, la meteorologia ne ha segnalate davvero poche).
È come se – e a Spoleto la cosa è molto, molto evidente – l'estate continentale di quest'anno stesse dando una mano agli estensori dei programmi culturali che i nuovi amministratori – di diverso segno politico dai precedenti – avranno ormai inteso dettare.
Siamo di fronte a un'estate “continen(tale) e quale” a una tradizione spoletina di sfinimento culturale che conosciamo da tempo e che si avvera a dispetto di ogni buona volontà propositiva. Palazzo Collicola e Piazza del Mercato alimentano fuochi adeguati, il Lirico lancia la Città sempre molto al di là dei suoi confini, ma, in ogni caso, si sente che manca la cornice, che in cabina di regia non si è pensato di porre un dialogante con Ferrara e il suo Festival. Le vestigia romane si ravvivano quasi volessero riprendersi tutta la scena. L'antica dignità longobarda si eleva spontaneamente sulle titubanze della città: l'orgoglio dei duchi non conosce le divisioni odierne e non vi si riconosce. Che non si possa trarre da questi princìpi il senso del nuovo investimento culturale nella storia di Spoleto?

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