THYSSENKRUCC
THYSSENKRUCC
NOSTADAMUS/Maurizio Terzetti / E per fortuna che sono tedeschi! La gloria produttiva, la virtù industriale, il merito di trainare, lo zelo finanziario del popolo tedesco sono rappresentati nel mondo dalla Thyssen? Forse nel mondo sì, a guardare dai contratti lucrati dalla galassia teutonica dell’acciaio con Singapore. Forse nel mondo no, a giudicare dai disastrosi investimenti nelle acciaierie americane e dall’indebitamento per 5 miliardi di euro che hanno preceduto l’espansione verso la multietnica città-Stato del sud–est asiatico. Certo, in Europa non si stanno dimostrando un esempio di locomotiva, ma sbuffano come un pesante convoglio anziché come un treno ad alta velocità.
Con l'Europa si stanno accanendo, l'Italia tentano addirittura di azzannarla.
Già all'inizio del 2013, mentre le acciaierie di Terni gravitavano nell'orbita dei finlandesi dell'Outokumpu, il corrispondente da Francoforte del “Sole24Ore” riferiva: “Alle prese con le perdite subite in alcuni investimenti sbagliati negli Stati Uniti e in Brasile, il gruppo siderurgico tedesco ThyssenKrupp ristruttura anche in Europa, a fronte di una calo della domanda e di un aumento dei costi, annunciando il taglio di 2mila posti di lavoro in Germania e in Spagna. Altri 1.800 posti, su un totale di circa 27mila dipendenti della divisione Steel Europe, potrebbero essere eliminati in seguito a dismissioni, anche se i vertici di ThyssenKrupp avevano dichiarato in più occasioni che le attività europee nel loro complesso non sarebbero state vendute. La Steel Europe tuttavia – nonostante, secondo un comunicato del gruppo, stia reggendo bene rispetto ai suoi concorrenti – nell'ultimo anno fiscale ha ottenuto un margine operativo che non ha coperto il costo del capitale. Con le misure annunciate ieri, il gruppo tedesco conta di ottenere risparmi per circa 500 milioni di euro entro l'anno fiscale 2014-2015”.
L'indomani dell'aumento di capitale da quasi 900 milioni di euro – eravamo al 3 dicembre dell'anno scorso, giusto tre giorni dopo il rientro in mano tedesca delle attività di Terni – i ThyssenKrucc continuavano a far scrivere di loro: “La questione americana è in parte risolta, ma ora bisogna stringere la cinghia e il prossimo capitolo da affrontare potrebbe essere quello delle acciaierie europee” (“Firstonline”).
Nessuna industria di stato italiana, per quanto vituperata e censurata nei decenni della prima repubblica, avrebbe potuto fare peggio dei virtuosi industriali della Renana-Vestfalia.
Eppure l'inizio della vicenda, venti anni fa, non avrebbe potuto essere più incoraggiante. Leggiamo nella “Cronologia” ufficiale della “Acciai Speciali Terni”: “1994. In quest’anno si scinde l’ILVA Spa. Dal progetto prendono vita due nuove società, operative dal 1° gennaio 1994. Si tratta dell’ILVA Laminati Piani, con stabilimenti a Taranto e Novi Ligure, e della Acciai Speciali Terni, con stabilimenti a Terni e Torino. Nella metà del mese di luglio dello stesso anno, l’IRI Spa firma l’accordo per la cessione della Acciai Speciali Terni alla KAI Italia Srl. Nella proprietà della Kai confluiscono, in modo paritetico, capitali italiani e tedeschi (Falck, Agarini, Riva e Fried. Krupp AG). Nel dicembre, dopo il nulla osta della Comunità Europea per l’acquisto della Acciai Speciali Terni, si conclude il processo di privatizzazione approvato in precedenza dall’IRI. L’intero pacchetto azionario viene trasferito alla KAI Italia Srl”.
L'ennesimo processo di ristrutturazione della siderurgia italiana, nel giro di cinque anni, lascia in mano l'Ast ai tedeschi della ThyssenKrupp Steel Italia Spa: dal 1999 l'industria tedesca detiene il 90% della proprietà delle acciaierie di Terni. Seguono cinque anni di rilancio, non si capisce quanto imputabili ai tedeschi, che, sempre seguendo la “Cronologia” dell'Ast, hanno nel 2001 il proprio momento d'oro: la nuova linea di trattamento “Bright Annealing” - “ricottura brillante” - entra in funzione nel 2001 insieme con un laminatoio Sendzimir all'avanguardia e con l'avvio di una nuova linea di produzione CSP (Compact Strip Production), la prima al mondo a produrre acciai speciali e a processarli in combinazione con l’esistente treno a caldo. L'anno dopo sembra di veleggiare per il mondo: “Il Consiglio di Amministrazione della Acciai Speciali Terni ha deliberato il cambiamento del nome della Società in 'ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni'. Unendo il proprio nome a quello della 'ThyssenKrupp', ogni azienda contribuirà a far conoscere e a rafforzare l’immagine esterna del Gruppo nei diversi paesi del mondo, rendendo anche immediatamente riconoscibile la vasta gamma di prodotti e servizi offerti sotto un unico 'marchio' comune” (“Cronologia”).
Dal 2005 in poi comincia la china che porta al precipizio. La chiusura della produzione del magnetico viene arginata attraverso il Protocollo d'intesa, firmato il 4 agosto del 2005 a Palazzo Chigi da tanti soggetti, compresa l'Azienda, che ha l'obiettivo di realizzare “un programma condiviso, che impegna tutte le parti ad assicurare e promuovere ciò che è di loro competenza, per una maggiore competitività dell’area e quindi l’adattamento alla dinamica dei nuovi scenari economici che si verificano a livello nazionale, europeo e internazionale”.
Da allora non sono passati nemmeno dieci anni. I tedeschi hanno lasciato il campo, sono entrati in scena i finlandesi della Outokumpu, lo stabilimento di Terni, che nel 2012, in un primo momento doveva diventare strategico, a fine anno rimane la pedina da mangiare, secondo la Commissione Europea, per evitare che Outokumpu acquisisca una posizione dominante sul mercato europeo, sono tornati, a novembre dello scorso anno, i tedeschi, sempre più “ThyssenKrucc”, come insegna la cronaca dei nostri giorni.
Il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, ha rilasciato una dichiarazione a “La Presse” l'indomani del tavolo per l'Ast, in cui chiarisce quali sono le strategie per l'Ilva di Taranto (ricerca di un forte partner come il colosso lussemburghese ArcelorMittal) e per la Lucchini di Piombino (l'indiana Jindal e il Gruppo Arvedi) in attesa di definirne una di progetto – e non meritoriamente difensiva come quella vista finora – per l'Ast.
Visti i nomi messi in campo per i gruppi di punta della siderurgia italiana, la direzione di marcia con alternative ai “Thyssenkrucc” per l'Ast sarebbe proprio un “coup de théâtre”. Preferisco non sognare, ma in ogni caso confidare, confortato in parte dal fatto che la “tagliatrice di teste” Lucia Morselli sembra essersi relativizzata. A farmi sognare, in definitiva, sono proprio le parole di Giovanni Arvedi da Cremona, numero uno dell'omonimo gruppo siderurgico, leader in Europa. Quando, negli anni Novanta, conobbe la crisi, Arvedi progettò una miniacciaieria dieci volte più piccola degli impianti tradizionali, per produrre nastri di acciaio di alta qualità in spessori sottili, allo stesso costo di quelli spessi e ordinò gli impianti ai tedeschi della Mannesmann. Ha confessato: «Pasticciano, commettono errori sui tempi di fluidificazione, costruiscono macchine sbagliate. Un disastro. E dopo tre anni li abbiamo sbattuti fuori dalla fabbrica. In seguito ci hanno anche risarcito con una cinquantina di miliardi ma intanto noi abbiamo perso tempo, soldi e abbiamo dovuto ricostruirci le macchine. Con costi enormi e ricorrendo ai debiti, mille miliardi”. Thyssenkrucc!